Milano 27 Aprile 2023
Anche chi non è un esperto di economia sa benissimo che cos’è l’inflazione. E chi ha i capelli bianchi ha ben chiaro il ricordo di quando i prezzi correvano a vista d’occhio, fino a registrare aumenti a due cifre percentuali. Il rapporto tra il sistema dei tassi d’interesse e l’andamento dell’inflazione non era però (e non lo è ancora oggi) perfettamente compreso. Tant’è vero che all’epoca (erano gli anni Settanta del secolo scorso) scoppiò la passione dei risparmiatori italiani per i titoli di Stato, con i rendimenti di Bot, Cct e Btp – rispettivamente i titoli di breve durata, quelli indicizzati e quelli di durata più lunga – ai livelli più alti della storia recente.

Senza tenere conto però dello squilibrio che esisteva nella rincorsa tra prezzi e tassi d’interesse, a danno degli ignari risparmiatori. In sostanza i rendimenti crescevano sì a ritmi sostenuti, ma ancora di più cresceva l’inflazione. C’era l’illusione del guadagno, ma in realtà si registrava una sia pur minima perdita, perché il denaro, in termini di potere d’acquisto, valeva meno.
Poi, con l’avvento dell’euro e le misure dei governi per frenare l’aumento dei prezzi, è arrivato un lungo periodo di stabilità, con i tassi di interesse scesi a livelli vicini allo zero. Ora però, una quarantina d’anni dopo, il trend sta cambiando di nuovo. I prezzi salgono e così anche il costo del denaro. E i risparmiatori meno informati o semplicemente più distratti, abituati a non prendere rischi e quindi a evitare di investire in azioni, di fronte alle notizie quotidiane di rialzo dei tassi, si trovano spiazzati. La domanda che si pongono è: perché se i tassi salgono i miei titoli depositati in banca valgono sempre meno? La risposta è semplice e nello stesso tempo difficile da spiegare a chi non è abituato a fare trading, cioè a modificare frequentemente il proprio portafoglio, investito nel medio-lungo periodo. Sui mercati finanziari i titoli di vecchia emissione valgono meno perché hanno una cedola più bassa rispetto a quelli nuovi, il cui rendimento è adeguato all’attuale livello dei tassi d’interesse. Ai cosiddetti investitori istituzionali (vale a dire i fondi pensione, le assicurazioni, i fondi d’investimento) conviene così vendere i titoli che hanno in portafoglio e con il ricavato comprare quelli nuovi. Oltretutto la stessa pressione delle vendite contribuisce a far scendere ulteriormente i prezzi.

Come si deve comportare, dunque, in questa situazione di incertezza, chi possiede titoli di Stato o obbligazioni private? Le opzioni sono più di una, anche perché ciascun risparmiatore ha caratteristiche, aspettative e sensibilità diverse. La prima è quella, paradossalmente, di non fare nulla. I titoli a reddito fisso hanno una scadenza ben precisa, stabilita all’atto dell’emissione, raggiunta la quale si otterrà il rimborso pieno. Mano a mano che questa scadenza si avvicina, anche il prezzo di mercato tenderà a risalire fino ad arrivare al valore nominale. Insomma, se un titolo è stato emesso a 100 euro per una durata, poniamo, di dieci anni e la cedola è del 3%, per tutto il decennio continueremo a incassare gli interessi sul capitale investito, che ci sarà poi restituito interamente. Nel corso di questo periodo il prezzo di mercato potrebbe scendere anche a 80 o 70 euro, ma gli interessi saranno sempre costanti. Dunque basterà aspettare e alla fine del decennio saremo rimborsati, incassando i 100 euro investiti inizialmente. E se nel frattempo i tassi continueranno a salire? Ci si può comportare come gli investitori professionali già citati, vendendo i titoli sul mercato e acquistando contestualmente quelli di nuova emissione dotati di una cedola più ricca, mettendo però in conto una perdita secca immediata. Ne vale davvero la pena? Si, se si ritiene che tassi e inflazione continueranno a salire ininterrottamente. In tal caso la perdita verrà gradualmente riassorbita.

Altrimenti è forse il caso di soprassedere, magari dirottando quote di nuovo risparmio verso la sottoscrizione dei nuovi titoli con rendimenti più alti. Si tratta insomma di scommettere sul futuro. Una pratica che richiede però un monitoraggio continuo e accurato, al quale il piccolo-medio risparmiatore non sempre è abituato né possiede gli strumenti adatti a svolgere correttamente.
Una possibile strada da seguire è poi quella dei titoli indicizzati all’inflazione, come il Btp Italia di recentissima emissione (l’ultima è avvenuta tra il 6 e il 9 marzo scorsi). L’aggancio al costo della vita è duplice: riguarda sia le cedole, pagate semestralmente, sia il capitale investito, rivalutato periodicamente. Questi titoli si possono acquistare direttamente all’emissione, anche online, durante il periodo di collocamento, senza dover pagare alcuna commissione. Come tutti gli altri titoli di Stato, prevedono la tassazione alla fonte degli interessi con l’aliquota ridotta del 12,5%. Occhio dunque alle prossime offerte del Tesoro, che normalmente vengono reclamizzate in prossimità dell’emissione. Intanto i Btp Italia già in circolazione si stanno rivelando particolarmente convenienti. A titolo di esempio, le cedole in pagamento il 28 aprile, relative ai titoli emessi nell’ottobre 2019 e in scadenza a ottobre 2027 sono pari al 5,11%, mentre per quelle previste nel prossimo mese di maggio i rendimenti attesi si sa già che saranno leggermente inferiori.
Immagine di apertura: foto di Mediamodifier