Milano 27 Febbraio 2023
Servono per produrre quasi tutti gli oggetti di uso comune, a partire dal frigorifero e dalla lavatrice, fino ai forni a microonde e le celle fotovoltaiche, ma sono diventati improvvisamente popolari perché la loro carenza da un paio d’anni a questa parte ha bloccato (o quanto meno rallentato) l’industria automobilistica mondiale. Sono i semiconduttori, una componente diventata sempre più importante nella costruzione di auto, soprattutto nella versione elettrica, tanto che a livello mondiale si stima che già nel 2021 la perdita di fatturato dell’intero settore per la carenza di questi elementi abbia superato i 210 miliardi di dollari. Un bilancio che si è ulteriormente aggravato nel corso del 2022.
Ma i semiconduttori, indispensabili per realizzare i microchips (microprocessori), entrano anche nei rapporti tra Stati, come fattori di geopolitica, tanto che sono stati definiti come “il petrolio del nuovo millennio”. E i paesi produttori sono avvantaggiati dal punto di vista economico rispetto ai paesi consumatori. Ricoprono cioè un ruolo strategico nello scenario mondiale. Da qui l’interesse che circonda questo prodotto, soprattutto in termini di approvvigionamento. Proprio come è avvenuto finora con il petrolio e le altre fonti di energia.
Che cosa sono. Come dice la parola stessa, si tratta di materiali a metà tra i conduttori di corrente elettrica (per esempio il rame) e i non conduttori (si pensi al legno). Perché sono così importanti? Soprattutto perché consentono una estrema duttilità d’uso, caratteristica fondamentale nel campo dell’elettronica più avanzata. Spiegano, però, gli esperti che i minerali originari, come il silicio e il germanio, che pure posseggono tutte le caratteristiche richieste, non vengono utilizzati allo stato puro, ma vengono modificati in laboratorio per valorizzarne l’efficienza. La loro capacità di trasportare l’energia viene così in larga misura guidata e controllata.
Dove si producono. Circa due terzi della produzione mondiale di semiconduttori è made in Taiwan, con la principale azienda, la Tsms (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company) che copre il 54% del mercato mondiale, seguita dalla coreana Samsung con il 17%. La quota degli Usa è pari al 7%, identica a quella di un’altra società di Taiwan, la Uicm. Seguono le cinesi Smic (5%) e HH Grace (1%) e poi ancora due aziende taiwanesi, Psmc e Vis, entrambe con l’1%. C’è insomma una forte concentrazione dell’offerta, a fronte di una domanda diffusa, distribuita in tutti i continenti. Si spiega così anche l’impennata dei prezzi che ha caratterizzato questo prodotto negli ultimi due anni. Ad aggravare la situazione, inoltre, è intervenuta la pandemia da Covid, con le chiusure imposte per frenare i contagi e i prodotti rimasti bloccati per molto tempo nei magazzini prima di essere distribuiti agli utilizzatori finali.
Materiale strategico. L’evoluzione tecnologica, in tutti i campi ma in particolare in quello, come si è visto, dell’automobile, provocherà secondo gli esperti una crescita esponenziale della domanda di semiconduttori. Anche perché occorre tenere conto degli sviluppi del cosiddetto 5G, la tecnologia di connessione che permette di assicurare una maggiore copertura mobile, più affidabile e veloce, nel trasferimento dei dati, con una velocità impensabile fino a pochi anni fa, raggiungendo un numero di utenti sempre maggiore mano a mano che verrà sviluppata. Non solo: non si tratta soltanto di migliorare la copertura, ma anche l’intensità del segnale. La crescita delle tensioni geopolitiche costringerà i governi dei principali Paesi del mondo a tutelare i rispettivi interessi nazionali, proteggendo prima di tutto le proprie supply chain (catene di approvvigionamento) da possibili interferenze ma anche da più banali interruzioni logistiche. Preoccupa il quasi monopolio di Taiwan nella produzione dei semiconduttori. Tanto che gli Usa si sono già mossi, proponendo un’alleanza, battezzata Chip 4, con Corea del Sud, Giappone e la stessa isola di Taiwan. Inevitabile, se il progetto andrà avanti, la reazione della Cina.
L’Italia. Dal punto di vista produttivo, tutto è affidato a una società, la StMicroelectronics, controllata pariteticamente da Italia e Francia, che rappresenta il vero (e forse unico) esempio di perfetta collaborazione tra i due Paesi in un settore strategico come quello dei microprocessori. StMicroelectronics, con 46 mila dipendenti nel mondo e circa 100 mila clienti, è uno dei principali operatori sul mercato mondiale. Fin dalla sua fondazione, il controllo è condiviso alla pari dai governi di Roma e Parigi, che posseggono al 50% ciascuno la holding olandese nella quale è custodita la maggioranza relativa (27,5%) del capitale della società, quotata oltre che a Piazza Affari anche nelle Borse di Parigi e New York. Grazie all’indubbia consistenza patrimoniale e alla sua capacità operativa, StMicroelectronics potrà giocare un ruolo importante nell’approvvigionamento di semiconduttori da parte dell’industria italiana. Basterà?
Immagine di apertura: foto di Steven