Firenze 27 Gennaio 2022

Semel in anno licet insanire: una volta l’anno si possono fare pazzie, dicevano i latini. Ed ecco che nasce il Carnevale. Il nome, come molti sanno, significa carnem levare, non mangiare carne, perché dall’ultimo lauto pranzo del Martedì Grasso in poi inizia la Quaresima, periodo di sacrifici e digiuni.

P. Bruegel “Lotta fra Carnevale e Quaresima”, olio su tavola, 1559, Kunsthistorisches Museum di Vienna

Festa legata al Cristianesimo, ma che trae origine dai Saturnali dell’antica Roma e dalle feste dionisiache greche. Le origini dei travestimenti carnevaleschi si trovano nell’antico Egitto dove durante una festa in onore della Dea Iside ci si mascherava, usanza poi importata nell’Impero Romano. Ci si poteva lasciare andare allo scherzo, alla trasgressione, al gioco e i travestimenti servivano ad evitare sanzioni dovute agli scherzi pesanti dei poveri per deridere i signori, abbandonando il solito rispetto. Del resto ancora oggi è così: si beffeggiano politici, intere categorie di dirigenti più o meno potenti, si ridicolizzano attori e personaggi pubblici. Dall’Oriente poi, oltre al travestimento, venne l’uso di addobbare grossi carri che rappresentavano la Luna e il Sole e percorrevano le strade della città. Tradizione arrivata fino ai nostri giorni.

E. Degas, “Arlecchino e Colombina”,  olio su tela, 1890, Museo d’Orsay Parigi

Fin dal 1271 si cominciarono a creare maschere carnevalesche usando argilla, gesso e garza, finendo poi l’opera con disegni e altre decorazioni. Quasi in ogni regione in Italia esistono Maschere locali “storiche”: Arlecchino, lombardo di Bergamo, povero e che porta abiti fatti con pezze di colori diversi, amico di Brighella anche lui bergamasco, Colombina, veneziana furba e maliziosa, la moglie di Arlecchino, Meneghino, il milanese per antonomasia, Pulcinella napoletano, Gianduja piemontese di Asti, Pantalone veneziano, Balanzone bolognese, Rugantino romano. Queste maschere sono frutto della Commedia dell’Arte e sono in genere personaggi furbi e senza scrupoli che si prendono gioco dei loro padroni. Maschere che hanno anche ispirato grandi pittori, da Bruegel a Chagall, da Tiepolo e Longhi a Joan Mirò, passando per Picasso, Cézanne, Degas, Renoir, André Derain, Juan Gris.

La “bauta”, maschera tipicamente veneziana, si compone di un mantello nero, un cappello a tricorno e una maschera bianca (fonte: evenice.it)

Il Carnevale forse più raffinato e artistico in Italia è quello di Venezia, nato in seguito ad un editto del Senato della Serenissima del 1296, ma già dal 1271 abbiamo notizia di botteghe che producevano maschere; durava sei settimane, dal 26 dicembre al Mercoledì delle Ceneri e nel Settecento raggiunse il suo massimo splendore, acquistando risonanza internazionale. L’essenza della festa era il travestimento, indispensabile per creare un clima di trasgressione e di spensieratezza. I campi e le calli si trasformavano in un palcoscenico in cui tutto era possibile grazie all’anonimato. Tra le maschere, oltre al già citato Pantalone, tipicamente veneziana è la Bauta, un mantello nero, o un tabarro, con un tricorno nero su una maschera bianca. La forma di quest’ultima con il labbro superiore sporgente consentiva di mangiare e bere senza doverla togliere, mentre lo spazio per il naso, così stretto, rendeva possibile falsare la voce. La Bauta compare in molte opere di Pietro Longhi.

In un ritratto d’epoca settecentesca una dama indossa la “moretta”, una maschera di velluto ben ferma grazie ad un bottone da tenere in bocca (fonte: evenice.it)

Un travestimento che piaceva alle donne era la Moretta, una maschera di velluto con cappellino e veletta. Per indossarla era necessario reggerla tramite un bottone tenuto in bocca tra gli incisivi. Dal 1797, in seguito all’occupazione napoleonica prima e a quella austriaca poi, il Carnevale fu sospeso per timore di disordini popolari per rinascere molti anni dopo, nel 1979, grazie all’impegno di alcune associazioni di cittadini, del Comune di Venezia, del teatro La Fenice e della Biennale. E ora gode di ottima salute. Altro Carnevale noto e storico è quello di Viareggio con il suo famoso Corso Mascherato. La maschera ufficiale è il Burlamacco ideato nel 1930 da Uberto Bonetti, pittore e grafico futurista. Simbolo della manifestazione, è un “misto” delle maschere della Commedia dell’Arte. il suo abito è a scacchi bianchi e rossi ad imitazione di Arlecchino, il pompon è preso in prestito dal camicione di Pierrot, il copricapo è simile a quello di Rugantino, il mantello nero ricorda quello di Balanzone.

Il manifesto originale del “Burlamacco” conservato al Museo del Carnevale di Viareggio (foto di Veronica Ferretti)

Gli enormi carri allegorici (arrivano ad altezze considerevoli; è rimasta famosa la ballerina alta 13 metri vincitrice nel 2004) sono addobbati con veri e propri capolavori di cartapesta, che prendono di mira soprattutto i politici, ma anche sportivi e personaggi del mondo dello spettacolo. Negli ultimi anni spesso i carri sono stati dedicati a temi ambientali e pacifisti. Si tratta di un Carnevale abbastanza antico: la prima sfilata di carrozze addobbate a festa nella storica Via Regia risale al 1873.

Un carro prima della sfilata nell’hangar della Cittadella del Carnevale, la “fabbrica” dei carri (foto di Veronica Ferretti)

Poi sul finire dell’Ottocento comparvero i carri, costruiti in legno, scagliola e juta, allestiti dai carpentieri che in Darsena lavoravano nei cantieri navali. E all’inizio del Novecento la sfilata passò dalla Via Regia ai viali a mare dove si svolge tuttora. Ma la vera rivoluzione fu nel 1925 quando, per iniziativa di Antonio D’Arliano e di alcuni costruttori, venne perfezionata la tecnica della carta a calco, da tutti conosciuta come cartapesta. Materiale leggero quanto povero, ha consentito costruzioni colossali e sempre più ardite nella scenografia e nella movimentazione.
El Vulon (o El Pup), il fantoccio che dal 1951 rappresenta una caricatura dei personaggi più famosi del momento, è il simbolo del Carnevale di Fano, e viene bruciato in piazza il Martedì Grasso. Ma pare che questo Carnevale sia molto più antico, risalga addirittura al 1347. Poi i Malatesta nel 1450 lo promossero decidendo che bisognava festeggiarlo con corsi mascherati, musica e gettando un’infinità di dolciumi e cioccolato dai carri agli spettatori.

El Vulon, il Pupo, è il simbolo del Carnevale di Fano e viene bruciato in piazza il Martedì Grasso

Il cosiddetto Getto che ha raggiunto nel tempo proporzioni epiche: quintali di caramelle e cioccolatini che piovono in testa agli spettatori assiepati lungo il percorso dei carri (a pagamento vengono forniti coni di cartone per raccoglierli). Per molti anni in seguito ad un accordo con la Perugina, i Baci Perugina divennero uno dei dolci ricorrenti di questa manifestazione. Altra sua caratteristica è la cosiddetta Musica Arabita, un’eccentrica banda nata nel 1921, detta Bidonata perché formata da strumenti inconsueti: pentole, barattoli, bottiglie, brocche, caffettiere, ombrelli, e altro ancora. Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia (Mondadori, 1957-1967) definisce questa musica Jazz italiano.

Noto ai più per la spettacolare battaglia delle arance che si svolge per tre giorni nelle principali piazze cittadine, il Carnevale di Ivrea si caratterizza per un complesso cerimoniale che attinge a diverse epoche storiche. Vera protagonista è la Vezzosa Mugnaia, simbolo di libertà.

Ad accompagnarla il Generale, di origine napoleonica, e a seguire i giovanissimi Abbà (i giovani scapestrati), due per ognuno dei cinque rioni e il Podestà, che rappresenta il potere cittadino. Queste figure vogliono rievocare la sollevazione del popolo contro il Marchese di Monferrato che affamava la città. E – narra la leggenda – fu il gesto eroico di Violetta, la figlia di un mugnaio, a liberare il popolo dalla tirannia. Ribellatasi allo ius primae noctis imposto dal tiranno, Violetta lo uccise con la sua stessa spada e la celebre Battaglia delle arance rievoca proprio questa rivolta. In segno di partecipazione alla festa tutti i cittadini indossano il berretto frigio, che rappresenta l’adesione ideale alla rivolta e quindi l’aspirazione alla libertà. Oggi, purtroppo, la battaglia delle arance è una manifestazione che sfocia spesso nella violenza.

Le caratteristiche maschere di legno del Carnevale di Mamoiada in Sardegna (fonte: Vaghis.it)

Un Carnevale insolito che vale la pena di ricordare è quello sardo di Mamoiada, in Barbagia. Cupo e triste, è ricco di simboli che hanno origine in età nuragica. A metà fra una danza e una processione, vede sfilare gli Issohadores, personaggi vestiti con un corpetto rosso e una maschera bianca, e a passo cadenzato i Mamuthones, che indossano pellicce scure e bellissime maschere di legno e hanno campanacci appesi alla schiena.

Immagine di apertura: la protagonista del Carnevale di Ivrea, la vezzosa mugnaia che simboleggia la libertà (foto di Laurom)

Toscana, ha vissuto l’infanzia a Siena per poi studiare lingue a Firenze e conseguire il diploma in Langue et Civilisation Françaises Université de Grénoble. Pittrice, ha esposto le sue opere a Villa Bottini a Lucca nel 2005 (personale), alle Terme Tamerici e alle Terme Tettuccio di Montecatini Terme (dove vive) nel 2006, alla Versiliana di Marina di Pietrasanta nel 2007. Si interessa ad ogni forma d’arte, specialmente se insolita o curiosa.

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