Napoli  27 Maggio 2023

È trascorso poco più di un secolo da quando gli occhi profondi e inquieti di Pablo Picasso hanno visto per la prima volta il millenario e perturbante Vesuvio e le antiche città di Pompei e Napoli, tenaci custodi di frammenti di vita e di arte.

Un giovane Pablo Picasso nell’estate del 1912

Nei primi mesi del 1917, mentre la Grande Guerra dominava la scena del mondo, Picasso era in Italia in invidiabile compagnia, con Sergej Djagilev e la sua rivoluzionaria creatura, i Ballets Russes, a lavorare alle scene e ai costumi del dirompente balletto Parade – musica di Satie, coreografia di Massine, soggetto di Cocteau –. Sul fondo dell’onirico sipario di Parade l’artista catalano dipinse una personale visione del Vesuvio, contaminata con resti di architetture romane che ricordano le rovine di Pompei.

Le “Tre Grazie”, affresco di Pompei, Napoli Museo Archeologico Nazionale. Su concessione del Ministero della Cultura/Museo Archeologico Nazionale Archivio Fotografico. Pompei fu grande fonte di ispirazione per Picasso

La presenza dell’antico nel lavoro di Picasso è strettamente legata a quel viaggio in Italia, alla visita della città sommersa, e paradossalmente salvata, dalle ceneri del vulcano, ma anche alla visita di Roma e dei suoi Musei. Questo dato è ormai acquisito negli studi, anche grazie al contributo di esposizioni come quella del 2017-18 alle Scuderie del Quirinale, Picasso tra cubismo e classicismo: 1915-1925, e quella in corso, aperta fino al 27 agosto, Picasso e l’antico. Allestita nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN), con prestiti dal British Museum, dal Musée Picasso di Parigi, dalla Collection Gagosian di New York, la mostra napoletana si propone di far riemergere, analizzare e valorizzare le tracce di sculture e pitture che Picasso vide nel Museo Archeologico di Napoli nel 1917 e per le quali trovò nuove forme di vita e significati rivoluzionari nella sua pittura e nei suoi disegni. Il lavoro svolto da Clemente Marconi, curatore della mostra, insieme ad altri studiosi (si veda il catalogo Electa 2023) ha messo a fuoco aspetti meno noti del rapporto tra l’autore di Guernica e l’antico che sembrano aver svolto un «ruolo fondamentale nel passaggio di Picasso dal cubismo a un nuovo classicismo, grazie all’influenza della pittura pompeiana e del gigantismo e della monumentalità tridimensionale delle sculture Farnese, a partire dall’Ercole» (così nel pannello che introduce la mostra).

Ercole Farnese, marmo bianco pentelico, Napoli, Museo Archeologico Nazionale. Su concessione del Ministero della Cultura / Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Archivio Fotografico. (foto di Luigi Spina)

Ed è proprio lo spazio del Museo Archeologico con pezzi della collezione Farnese a ospitare la mostra. Tra il corpo colossale dell’Eracle a riposo dalle mitiche fatiche, scolpito nel nitore del marmo (inizio III sec. d.C.), e il maestoso, dinamico gruppo piramidale del Toro Farnese (fine II-inizio III sec. d.C.) che racconta il drammatico supplizio di Dirce dominato dal corpo possente del toro, si snodano i possibili dialoghi di Picasso con questi e altri corpi di statue da un lato, dall’altro con affreschi romani da Pompei. L’Ercole Farnese ha una posizione principe nell’immaginario di Picasso, come emerge anche dalla monumentale biografia di John Richardson.

Da questo Picasso trae forme, posture, temi, emozioni per opere del cosiddetto secondo periodo classico; nell’eroe esausto e pensoso, inoltre, si rispecchia. Attorno all’Ercole Farnese sono state esposte alcune tra le 100 acqueforti della Suite Vollard (1930-37), che Picasso realizzò su incarico dell’importante mercante d’arte e gallerista Ambroise Vollard: quelle scelte per Picasso e l’antico rivelano varie declinazioni delle memorie scultoree picassiane della visita al Museo Archeologico di Napoli, tra le quali spicca il pensiero dominante dell’Ercole, tradotto specialmente nella serie della Suite nota come El taller del escultor (L’atelier dello scultore, 1933-34). Non sembrano invece emergere con uguale evidenza allusioni al Toro Farnese nelle opere di Picasso, se non nella tavola 57 della Suite, Le Repos du sculpteur devant des chevaux et un taureau (Londra, British Museum), esposta, attorno al Toro Farnese, con altre acqueforti e acquetinte che hanno per soggetto toro e minotauro.

Toro Farnese, marmo giallastro a grana fine (parti antiche), Napoli, Museo Archeologico Nazionale Su concessione del Ministero della Cultura / Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Archivio Fotografico. (foto di Luigi Spina)

Tra gli estremi dell’Ercole e del Toro si dispongono altre sculture della collezione Farnese che portano a incontrare ulteriori orizzonti picassiani ugualmente fruttuosi per ricostruire la relazione dell’artista con le antichità. Tra queste spicca il dittico marmoreo con Pan e Dafni (II sec. d.C.) (vedi immagine di apertura): il dio semiferino che insegna a suonare la syrinx (cosiddetto flauto di Pan) al bel pastore Dafni torna a rivivere nel dipinto La Flûte de Pan (1923, Musée Picasso) insieme a un altro souvenir da Napoli che si è sedimentato nell’occhio della mente di Picasso, l’affresco Pan e le Ninfe (inizio I sec. d.C.) dalla Casa di Giasone a Pompei. Nella sua “pinacoteca immaginaria” Picasso affianca artisti greci e romani, quasi tutti anonimi, a pittori quali Rembrandt, Goya, Cézanne: a tutti Picasso mostra riconoscenza e dimostra di appartenere, proprio nel momento in cui “aggredisce e decostruisce non senza un certo slancio ludico” l’arte di chi lo ha preceduto e crea un nuovo modo di guardare (Vincenzo Trione,”Picasso. Autopsia del Novecento”, La Lettura-Corriere della Sera, 2 aprile 2023). Per questo modo di creare e dialogare con gli antichi la mostra al Museo Archeologico di Napoli offre una stimolante e ricca documentazione.

Immagine di apertura: Pan e Dafni, allestimento della mostra Picasso e l’antico, credito Mann, foto di V. Cosentino, Museo Archeologico Nazionale di Napoli (fonte: livemuseum.it)

Nata a Milano, ha vissuto ad Ascoli Piceno fino alla maturità classica. È poi tornata nel capoluogo lombardo. Archeologa classica, storica e critica dell’arte, studiosa di teatro. Laureata in Lettere Classiche all'università Cattolica di Milano, ha conseguito il diploma di Specializzazione in Archeologia Classica e il Dottorato di Ricerca in Archeologia, dopo il quale ha vinto borse di studio e un assegno di ricerca. Ha svolto attività didattica universitaria a contratto, partecipato a progetti di ricerca, convegni nazionali e internazionali, ad allestimenti di mostre, a progetti di valorizzazione di beni archeologici. Le sue ricerche e pubblicazioni riguardano soprattutto l’architettura teatrale, l’iconografia e iconologia teatrale e musicale, la ricezione dell’arte e della letteratura antica. Si occupa di cultura visuale, di teatro contemporaneo e dei suoi spazi. Tra le molte pubblicazioni: “Antigone. Usi e abusi di un mito dal V secolo a.C. alla contemporaneità”, 2021, volume curato con Sotera Fornaro; “L’immagine fuggente. Riflessioni teatrali sulla Alcesti di Barcellona”, 2020; i saggi “Raffaello e Omero (da Urbino alla Stanza della Segnatura)”; “Gruppo di famiglia in un interno. L’assassinio di Agamennone nel cratere del Pittore della Dokimasia”; “I teatri romani in Lombardia. Archeologia e valorizzazione”; il catalogo della Mostra, da lei curata nel 2011, “Suoni silenti. Immagini e strumenti musicali del Civico Museo Archeologico di Milano”. È nel comitato scientifico delle riviste "Archivi delle emozioni. Ricerche sulle componenti emotive nella letteratura, nell’arte, nella cultura materiale" e "Visioni del tragico. La tragedia greca sulla scena del XXI secolo", e nel gruppo di ricerca dell’omonimo blog culturale.

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