Milano 27 Gennaio 2023

Nella vita di tutti i giorni gli uomini occidentali vestono “da uomini”: pantaloni, camicia e giacca, cravatta (ma non sempre). Quasi un’uniforme che non è cambiata poi tanto dall’Ottocento ai giorni nostri quando con la Rivoluzione Industriale e la nascita della società borghese la Gran Bretagna – e il resto dell’Europa le andò dietro, la Francia con qualche raffinatezza in più – codificò l’abbigliamento maschile più o meno come lo conosciamo oggi.

La copertina del libro di Andrea Batilla “Come ti vesti” edito da Mondadori

In realtà i secoli precedenti davano all’uomo possibilità di scelta decisamente maggiori, avvicinando la loro moda a quella femminile. È uno dei temi affrontati in Come Ti Vesti, “che cosa si nasconde dietro gli abiti che indossi” (Mondadori) di Andrea Batilla, designer e ricercatore tessile per marchi come Romeo Gigli, Bottega Veneta e Trussardi, per cinque anni Direttore della scuola di moda dell’Istituto Europeo di Design di Milano. Batilla ci propone un viaggio attraverso la storia della moda per andare a fondo nelle realtà che diamo per acquisite, a maggior ragione se riguardano l’abbigliamento, per capirne l’origine e il significato fino a scoprire che quasi tutte le grandi istanze sociali, politiche e psicologiche sono sempre passate attraverso la moda. Insomma, come a dire, se voi signore domani indossate un abito di taglio maschile, siate consapevoli di che cosa state rappresentando. Gli uomini non si sono sempre vestiti così, come abbiamo detto; la differenza tra abbigliamento maschile e femminile non è sempre stata netta. Anzi, nel Seicento fino a tutto il Settecento, i “maschi” si truccavano, mettevano parrucche e portavano i tacchi. Basta pensare alle scarpe in in velluto con la suola rossa e le parrucche più o meno gigantesche cosparse di cenere o farina che andavano di moda alla Corte del Re Sole, Luigi XIV (1638-1715) e che molti ritratti ci hanno tramandato.

Hyacinthe Rigaud, “Ritratto di Luigi XIV”, olio su tela, 1700-1701, Museo del Louvre, Parigi

Poi è arrivata la Rivoluzione Francese e l’epoca Napoleonica che ha inaugurato una moda dove le signore del gran mondo, abbandonando il corsetto, indossavano vesti di mussola semplicissime e si difendevano dal freddo con grandi e costosi scialli di cachemire (poi, nei decenni successivi dell’Ottocento saranno di nuovo costrette in busti e crinoline), mentre gli uomini adottavano pantaloni, stivali, giubbe e soprabiti dalle linee essenziali. Tutto all’insegna della naturalezza, in contrasto con gli orpelli dello sconfitto Ancien Régime.

La moda maschile nei primi decenni dell’Ottocento (da una rivista di moda)

Poi arrivò la rivoluzione industriale, la nascita della borghesia e dell’imprenditoria: l’altra grande pietra miliare su cui si fonda il vestirsi da uomo. È questo il momento in cui nascono tutti i pezzi del guardaroba maschile: cappotto, camicia, blazer, doppiopetto, impermeabile, e ovviamente l’abito. Altro elemento interessante è l’introduzione del nero come colore del vestire quotidiano. Non solo, il nero diventa un modo per manifestare benessere e potenza economica, e, secondo la buona condotta puritana, sussiego e dignità. Una tappa fondamentale del viaggio nella storia della moda è quella degli anni Sessanta e Settanta quando il mondo cambiò sotto la pressione di un movimento culturale straordinario: le controculture. I movimenti giovanili in tutto il mondo misero in discussione le principali istituzioni: la famiglia, la borghesia, il Capitalismo. La beat generation e gli hippies fondarono un nuovo linguaggio della moda molto inclusivo, ancora attuale, che andava contro la divisione dei generi, e per la prima volta raccoglieva stimoli da tutto il mondo – caftani indiani, fez marocchini, ricami pakistani di ogni epoca, stampe rinascimentali e cappotti anni Quaranta – e li fondeva in uno stile molto eclettico per gridare libertà. Gli uomini portavano capelli lunghissimi e le ragazze le chiome al vento.
Oggi, ci spiega Batilla, coesistono due tendenze contrastanti: la prima che, attraverso un certo tipo di abbigliamento, annulla la diversità di genere, la seconda che in modo esattamente opposto, la accentua. E in quale direzione va la moda maschile? Verso un cambiamento epocale.

Ragazzi hippies dei primi anni Settanta (foto di Ben Frieden)

Tra il 2020 e il 2025, i tassi di crescita del settore della moda maschile saranno più alti di quella femminile, decretando l’uscita degli uomini dal grigio limbo secolare. Il cosiddetto abbigliamento formale è in decadenza e lo streetwear è il mezzo attraverso cui la moda maschile parla agli uomini, specialmente a quelli giovani. Ma pur ne cambiamento qualcosa resta per ora immutabile: la differenza fra Roma e Milano. Due mondi estetici e culturali molto diversi: da una parte il gusto massimalista legato alla decorazione, all’oro e alle pietre preziose, dall’altro il minimalismo cosiddetto dell’”understatement”; da una parte Milano, sottrazione e semplificazione, dall’altra Roma, eccesso ed esibizione. Sarà una straordinaria coincidenza, ma se guardiamo gli stilisti che hanno sviluppato di più il concetto di decorazione, la corrispondenza con luoghi di origine in area mediterranea è impressionante: Versace nato a Reggio Calabria, Yves Saint Laurent in Algeria, Puglisi a Messina, Dolce a Palermo. E anche tutta la nostra cultura decorativa tessile ha matrice orientale, in particolare in Cina e Persia dove ai tessuti veniva dato un valore altissimo.

Immagine di apertura: foto Pixabay

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