Milano 21 dicembre 2022
«Ven chi che te duperi», (vieni qui che ti adopero). La donna? «Che piasa, che a tasa che a staga a casa». Piacente, muta, casalinga. Nell’apparato di riti, miti, simboli, inni, canti, slogan del Fascismo mancano questi due popolarissimi e volgarissimi detti. Eppure Benito Amilcare Andrea Mussolini li ha sempre messi in atto. Erano il compendio più efficace della sua brutale concezione maschilista: «le donne sono gli orinatoi del sesso forte». «Le donne come fattrici o come macchine di riproduzione».
Benito Amilcare Andrea Mussolini aveva una frenesia incontrollabile (lui chiamava “la bestia”), che lo attanagliava, lo pervadeva e lo spingeva a trattare le donne con la logica del postribolo. Si rese conto di averla, questa logica, la prima volta in cui conobbe carnalmente una donna. Avvenne nel bordello di Forlì, quando una domenica di maggio del 1899 perse la verginità. Questa prima esperienza lo fece con una meretrice piuttosto avanti negli anni dotata di una corporatura notevole: «Una delle prostitute mi prese sulle ginocchia e cominciò a eccitarmi con baci e carezze. Era una donna attempata, che perdeva il lardo da tutte le parti, le feci sacrificio della mia verginità sessuale, non mi costò che 50 centesimi. Uscii da quella casa a testa bassa e vacillante come un ubriaco, mi pareva di aver commesso un delitto, ma l’improvvisa rivelazione del godimento sessuale mi turbò. La donna nuda entrò nella mia vita, nei miei sogni, nelle mie cupidigie. Investivo con gli occhi le fanciulle che incontravo, le concupivo violentemente con il pensiero». Lo scrive la storica Mirella Serri in Mussolini ha fatto tanto per le donne! Le radici fasciste del maschilismo italiano (Longanesi). Il volume sembrerebbe uno dei tanti pubblicati negli ultimi tempi sul Fascismo, sul Duce e/o in occasione del centenario della Marcia su Roma. In realtà va oltre. Mirella Serri mette letteralmente a nudo la vita di Mussolini dentro e fuori dalla camera da letto, o dalle stanze di Palazzo Venezia, dove – racconterà la sorella di Benito – consumava «amplessi quotidiani in modo assai rapido con più crudeltà che abbandono».
Il titolo del libro, accattivante, ma fuorviante e impreciso, purtroppo mette anche in secondo piano il ruolo di chi avversò fino alla morte il machismo mussoliniano: Anna Kuliscioff. Il brutale Dux la odiava a tal punto che non la rispettò neppure da morta. Il 3 gennaio 1926 consentì ai suoi “scarafaggi” di dare l’assalto alla bara della “Signora del Socialismo”. «Il duce ha incitato alla rappresaglia per offendere l’immagine della donna che lo aveva combattuto». È vero, Mussolini ha fatto tanto, per le donne. Ma tanto male. Una volta preso il potere, ha portato a compimento nella “Camera sorda e grigia” del Parlamento quello che esprimeva in camera da letto o nel Palazzo Venezia.
«Lo squadrismo – ricorda lo scrittore Emilio Gentile ne La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista (Carocci) – oltre a essere una forza armata fu uno stile di vita fondato sull’esaltazione della virilità». Mussolini gettò le basi del maschilismo e coltivò le radici del femminicidio e della violenza sulle donne, che ancora non sono eradicate: in Italia – è stato ricordato il 25 novembre scorso in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne – nel 2022 sono state uccise 104 mamme, mogli, figlie, fidanzate…
Mussolini, buon avanguardista, aveva ficcato un coltello nel braccio della giovanissima Giulia Fontanesi (dopo averla riempita di botte e morsicata); quasi certamente ha avuto rapporti sessuali anche con la giovane figlia di Margherita Sarfatti; a Claretta Petacci aveva mollato uno schiaffo così forte da renderla sorda per giorni; aveva fatto passare per pazza Ida Dalser, aveva costretto all’aborto le sue amanti (drammaticamente celebre il caso di Bianca Ceccato, minorenne, sua assistente personale al Popolo d’Italia).
Una violenza che si estrinsecherà nella legislazione antifemminista: no alle donne preside, no alle donne pilota, no alle donne nella scuola Normale di Pisa, no – soprattutto – al voto femminile, che in modo infingardo e falso lo stesso Mussolini aveva promesso.
Negherà non solo il suffragio universale, ma anche quello amministrativo nel 1925. Ad onor del vero, era in buona compagnia. Già Pio X nel 1905 aveva dichiarato: «Non elettrici, non deputatesse… Dio ci guardi dal femminismo politico». E la stessa classe operaia appariva dubbiosa e divisa sul suffragio universale esteso alle donne.
Il Secolo si era aperto con ben altre prospettive e successi, con un movimento femminista battagliero, guidato dalla instancabile, durissima, Anna Kuliscioff, che sarà l’incubo del Duce fino alla morte. Nel 1907 c’era stata la prima laureata in Italia in Scienze naturali: Eva Mameli, di Sassari, nel 1923 madre di Italo Calvino. La signora Eva nel 1915 fu anche la prima italiana a ottenere la libera docenza in Botanica. Nel 1913 Rosina Ferrario era stata la prima a conseguire il brevetto di volo. Nel 1915 Gaetanina Calvi diventava la prima “politecnica”, a Milano, in ingegneria civile. Solo nel 10 novembre 2022, però, è stata eletta la professoressa Donatella Sciuto come l’unica rettrice in 159 anni di storia del Politecnico lombardo.
Per l’altra metà del cielo è stato sempre molto alto e molto duro il tetto di cristallo da mandare in frantumi. E a renderlo più alto e più duro è arrivato Lui. Oh sì! Mussolini per le donne ha fatto tanto. Ma tanto male.
Immagine di apertura: una foto di propaganda che esalta il ruolo della donna fattrice/madre (fonte: opencalabria.com)