Torino 27 Giugno 2027

A trent’anni dalla scomparsa di Αyrton Senna rimane indelebile il ricordo di questo pilota mitico, indiscusso protagonista della Formula 1 tra gli anni Ottanta e Novanta, per le sue vittorie e per il suo stile di guida unico. Brasiliano, si avvicinò ai motori giovanissimo, iniziando dapprima con i go-kart. Talentuoso e geniale, vantava a suo carico 41 vittorie e 65 pole position, eccellendo nella specialità del giro veloce. Nel 1994 il tragico epilogo in quel fatidico giorno di primavera, il 1 maggio, quando perse la vita a soli 34 anni durante il Gran Premio di San Marino, sul circuito di Imola. La causa dell’incidente fu ricondotta alla rottura del piantone dello sterzo, modificato la notte precedente alla gara. Fatale per il pilota fu, però, un braccetto della sospensione, che provocò la lesione della regione frontale destra del cranio in seguito al violento urto dopo lo schianto sulla curva del Tamburello.

Pietro Pietrini, psichiatra e neuroscienziato, dirige il laboratorio per lo studio delle basi cerebrali del comportamento umano alla Scuola IMT Alti studi di Lucca (foto: fondazione brg.org)

A distanza di trent’anni da quella tragica scomparsa, ci si chiede che cosa spinge un giovane a intraprendere una professione a così alto rischio, nonostante che i sistemi di sicurezza siano oggi perfezionati rispetto all’epoca di Senna. Del tema si sono occupati sociologi, psicologi, psichiatri, neuroscienziati. Il professor Pietro Pietrini, psichiatra e neuroscienziato, fondatore e direttore del Molecular Mind Lab (MoMiLAB), laboratorio per lo studio delle basi cerebrali del comportamento umano presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca qualche anno fa ha condotto con il suo gruppo di ricerca uno studio sulle caratteristiche del cervello dei piloti di Formula 1. Come? Esplorando se le loro capacità cognitive e motorie, decisamente superiori alla media, fossero supportate da specifiche strutture e funzioni cerebrali. In altre parole se ci fosse o meno, una base organica di queste capacità, base “costruita” grazie allo straordinario allenamento cui si sottopongono (il cervello è plasmabile).
«I piloti di Formula 1 – spiega Pietrini – hanno la capacità di analizzare gli stimoli visivi e prendere decisioni motorie molto velocemente. L’ambiente in cui operano è estremamente esigente perché richiede tempi di reazione rapidi, capacità di prendere decisioni sotto pressione e un’elevata coordinazione visivo-motoria».

La velocità è l’elemento che caratterizza le gare di Formula 1. Si raggiungono e si superano i 300 Km/h (foto di Chris Peeters)

I piloti competono in condizioni tutt’altro che ordinarie. Basti pensare che in 1-7 secondi possono accelerare passando da 0 a 100 km/h e che, una volta raggiunta questa velocità, sono in grado di frenare in 15 metri. Inoltre, in una singola gara il circuito da percorrere non è inferiore ai 305 km e la velocità massima raggiungibile è quella di ben 360 km/h.
Per raccogliere i dati, il professor Pietrini e il suo team hanno anzitutto definito due gruppi, uno composto da undici piloti, il gruppo sperimentale, l’altro, di controllo, costituito da undici soggetti “comuni”, equivalenti per età e genere. Hanno fatto eseguire poi test specifici per valutare le capacità cognitive e motorie dei piloti e confrontare i risultati con quelli ottenuti nel gruppo di controllo. I compiti da svolgere sono stati tarati in modo tale da poter essere eseguiti da tutti i soggetti coinvolti nella ricerca e comprendevano due test. Il primo compito, chiamato il “Task del Semaforo” consisteva nel premere nel minor tempo possibile un determinato pulsante quando il semaforo da rosso diventava verde. Nel secondo task, “Task del Biliardo”, l’obiettivo era quello riprodurre in maniera sperimentalmente misurabile gli stimoli cui reagiscono i piloti in gara.

Per evidenziare quali aeree del cervello si attivano quando si fanno fare al soggetto determinati test, si ricorre alla risonanza magnetica funzionale, tecnica che utilizza i campi magnetici (foto di Geralt)

È stato chiesto loro di premere l’apposito pulsante ogni qual volta una pallina di un determinato colore entrava nel cerchio corrispondente cromaticamente. Per studiare quali aree del cervello si attivavano si è utilizzata la risonanza magnetica funzionale, un esame strumentale capace di registrare come variano i livelli del flusso sanguigno e dell’ossigenazione cerebrale nel distretto encefalico in risposta a diversi stimoli, utilizzando campi magnetici. «Abbiamo visto così che, a parità di performance tra i due gruppi, i piloti attivavano le stesse aree della corteccia motoria, premotoria e visuo-spaziale degli automobilisti comuni, ma in maniera significativamente minore. Essendo particolarmente dotati, mostravano una riduzione del consumo energetico cerebrale utilizzando solo una piccola frazione delle aree impegnate in queste funzioni». Precisa Pietrini: «A questo punto è importante introdurre il concetto di Neural Efficiency, cioè di Efficienza Neurale, che nel caso dei piloti si manifesta su due piani, il primo, di economia delle risorse impiegate, il secondo di correlazione cerebrale, cioè di dialogo tra le aree visive e motorie. Nella ricerca, il modo in cui l’informazione fluiva era qualitativamente oltre che quantitativamente diverso: le interazioni tra le diverse regioni cerebrali erano significativamente più forti nei piloti. In conclusione, i nostri soggetti sperimentali dimostravano, rispetto a quelli “comuni”, una maggiore Efficienza Neurale».

Alex Zanardi (a sinistra) ai giochi paralimpici di Londra nel 2012. Dopo l’incidente che gli causò la perdita di entrambe le gambe, si è dedicato con grande successo allo sport paralimpico (foto di Roberto Ser)

Per quanto concerne le caratteristiche psicologiche dei piloti di Formula 1, Augusto Iossa Fasano, psichiatria e psicoterapeuta che se n’è occupato a lungo, aggiunge: «Nei piloti si assiste al fenomeno dello “spingersi oltre il limite”, attratti dal rischio della morte, esaltandone il piacere, che diventa anche erotico. Ciò che Sigmund Freud definiva “impasto di vita e di morte”. Questo spiega perché i piloti hanno un grande seguito nei mass media: lo spettatore gode nel vedere l’intreccio tra la vita e la morte. Ricordiamo, a proposito, uno dei motti del gruppo parigino di sociologia e psicologia degli anni Trenta: “l’erotismo è la vita che si spinge fin dentro la morte”. Questo elemento viene efficacemente rappresentato nella velocità, quindi, nel rischio».
«Un secondo aspetto del rapporto tra spettatore e pilota – continua Iossa Fasano – consiste nell’idealizzazione di quest’ultimo da parte del primo. Un caso emblematico è quello di Alex Zanardi, che dopo l’amputazione delle gambe in seguito all’incidente del 2001 in Germania sulla pista di Lausitzring, è diventato un modello di vita, di resilienza». Ma l’esaltazione può diventare anche profondamente diseducativa, secondo lo psichiatra, perché finché il pilota trasmette adrenalina riuscendo a unire il binomio vita-morte, non è riscontrabile alcun elemento patologico, ma quando si oltrepassa il limite, quando si va nella direzione della pulsione di morte, l’equilibrio rischia di venire meno.

Immagine di apertura: una bella immagine di Ayrton Senna (fonte: Instituto Ayrton Senna)

Nata a Torino, dopo il conseguimento della maturità classica, si è iscritta alla Facoltà di Psicologia presso l’Università del capoluogo piemontese. Attualmente laureanda in Scienze e Tecniche Psicologiche, coltiva parallelamente la scrittura e il giornalismo. Altra sua grande passione è il volo aereo: sta prendendo i brevetti di volo di primo grado.

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