Milano 28 Novembre 2022
È passato più di un anno (era il giugno del 2021) da quando il presidente di El Salvador Armando Bukele Ortez aveva dichiarato il bitcoin moneta nazionale. Le perplessità avanzate all’epoca da molti riguardo all’insolita iniziativa (e puntualmente segnalate in questa rubrica) sono state purtroppo confermate. La più nota tra le criptomonete ha perso nel frattempo metà del suo valore e nessuno dei progetti ipotizzati dal governo salvadoregno (le rimesse degli emigrati avrebbero dovuto finanziare un ambizioso piano di opere pubbliche) è stato realizzato. Non solo. Il flop del progetto bitcoin nella piccola repubblica del Centro America ha contribuito a frenare nel resto del mondo l’uso della moneta virtuale come investimento alternativo agli strumenti finanziari tradizionali. E, della serie le disgrazie non vengono mai sole, è stato seguito quasi in contemporanea da un altro evento, il crack di Ftx, la seconda piattaforma al mondo per dimensioni nel settore delle criptovalute.

Ma se la crisi del bitcoin potrebbe essere in qualche modo temporanea, legata agli alti e bassi del mercato, quella di Ftx è di tutt’altra natura. In questo caso alla base di tutto c’è un vero e proprio fallimento, accompagnato dal sospetto, purtroppo fondato, di un comportamento truffaldino nei confronti di chi si è affidato al portale. Si parla di almeno 100mila soggetti, tra privati e aziende, coinvolti nella vicenda. Tutti investitori in criptomonete attraverso la piattaforma fondata da un finanziere appena trentenne che si chiama Sam Bankman-Fried (una curiosa coincidenza: questo cognome potrebbe essere tradotto in italiano in “bancario fritto”). Un personaggio che, nonostante la giovane età, aveva stretto amicizie importanti nel mondo dell’economia e della politica statunitense e che qualcuno aveva incautamente definito “il nuovo Warren Buffett”, paragonandolo cioè a un mito della finanza tradizionale. L’agenzia economica Reuters ha stimato che il “buco” ammonti a un miliardo di dollari, ma altre fonti ipotizzano una cifra ancora superiore. Una voragine, insomma, non ancora del tutto quantificata ma che in molti hanno già accostato al dissesto della banca d’affari americana Lehman Brothers, che nel 2008 aveva provocato una crisi finanziaria di dimensioni globali, le cui conseguenze non sono ancora state del tutto riassorbite. Il confronto tra la vicenda Lehman e quella di Ftx è forse improprio. Nel primo caso si è trattato di un classico crac bancario, nell’ambito di un mercato finanziario consolidato e dotato di regole certe. Nel secondo la bancarotta si è manifestata in un contesto totalmente nuovo, fuori da tutti gli schemi e soprattutto in assenza totale di sistemi di controllo. Ma su un aspetto c’è certamente analogia. È quello dell’immagine. In entrambi i casi a subire un duro colpo è stata la credibilità dei soggetti coinvolti. Dopo Lehman le autorità hanno stretto i freni e rafforzato la vigilanza. Che succederà ora all’universo delle criptovalute, abitato forse da truffatori ma anche da molti operatori in perfetta buonafede?

Nel mondo la maggior parte degli scambi di criptovalute avviene su due piattaforme: Binance, prima in assoluto per dimensioni, e appunto Ftx, ora in stato fallimentare. Binance è gestita da Changpeng Zhao, un miliardario cinese che nei giorni scorsi si è offerto di rilevare ciò che resta della sua principale concorrente, salvo poi fare marcia indietro dopo avere verificato l’entità del “buco”. L’attività di Binance, tuttavia, nonostante non siano finora emerse irregolarità, risultano piuttosto opache: non esiste una sede ufficiale e il suo promotore ha già avuto scontri con le autorità finanziarie di molti Paesi. Il suo successo è consolidato e indiscutibile. Ora però teme di dover subire l’ondata di sfiducia innescata dal crac di Ftx. Il mondo delle criptovalute, in sostanza, pecca di scarsa trasparenza. E il caso della piattaforma andata in fallimento dimostra, senza voler demonizzare le valute virtuali in quanto tali, che c’è bisogno di interventi pubblici mirati a tutelare gli investitori. La stessa Janet Yellen, attuale segretario al Tesoro Usa dopo essere stata dal 2014 al 2018 alla guida della Federal Reserve, la banca centrale americana, è stata tra i primi a lanciare l’allarme sottolineando – sono parole sue -, l’urgente esigenza di introdurre regole certe. Un compito certamente non facile, trattandosi di un mondo, quello delle criptovalute, ancora sconosciuto al grande pubblico, ma anche agli stessi economisti. C’è voluto uno scandalo da un miliardo di dollari perché scattasse l’allarme. Come al solito, si potrebbe obiettare, si chiude la stalla quando i buoi sono scappati. Ma questo non deve essere un alibi. Agire è doveroso: ricorrendo ad un altro proverbio, si può rispondere che è meglio tardi che mai.
Immagine di apertura: foto di Gerd Altmann
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