Aveva soltanto 26 anni il Marchese Giovanni Battista Giorgini quando il 29 novembre del 1924 sbarcò a New York con mille oggetti che straripavano dai suoi bauli – tovaglie, vetri, paglie, ceramiche, argenti – alla conquista del mercato americano. Un mercato allora chiuso agli italiani, mentre i produttori tedeschi, francesi e inglesi avevano da tempo piazzato merci e filiali in tutti gli Stati Uniti. Un apripista destinato a diventare il primo promotore del cosiddetto Made in Italy, il prodotto artigianale italiano di qualità.

Nato nel 1898 da una nobile e colta famiglia lucchese, Giovanni Battista, per gli amici Bista, fin da giovanissimo aveva respirato la capacità “di fare il bello” della sua Toscana, che affondava le radici in epoca rinascimentale. C’era poi la grande tradizione internazionale dei commerci fiorentini – basta pensare ai rapporti storici con il mondo anglosassone – vista anche la particolare raffinatezza di certe produzioni, come la lavorazione della paglia, quella dell’argento e dell’oro, i merletti e i ricami, i cuoi artistici, la porcellana (agli inizi del Novecento i serviti della Richard Ginori di Doccia avevano soppiantato il vasellame tedesco e francese). Ma era un mercato elitario perché i canali dell’esportazione potevano essere sostenuti soltanto da aziende di una certa dimensione.

Le piccole organizzazioni artigiane ne erano escluse, né potevano partecipare, visti i costi proibitivi degli stand, alle celebrate esposizioni internazionali tanto in voga fra la metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Perché Giorgini attraversò l’oceano alla conquista dell’America? «Gli Stati Uniti con la Prima Guerra Mondiale erano divenuti il maggior creditore dell’Europa continentale -; spiega Letizia Pagliai, docente di storia economica all’Università di Torino, autrice di La Firenze di Giovanni Battista Giorgini (Edifir edizioni) – ; ogni Paese cercava di esportare per ottenere dollari con cui estinguere il debito. Per questo motivo negli anni Venti e fino alla contrazione del 1929-1933, l’America funzionò come una gigantesca calamita».

Un mercato vasto che implicava una concorrenza spietata fra produttori. Giorgini l’aveva ben capito, tanto che andò di persona, non cercò intermediari. L’anno precedente, intanto, aveva fondato una propria ditta di import-export a Firenze in via dei Calzaioli, mettendosi in competizione con l’ufficio acquisti francese della vicina piazza Strozzi che riforniva di prodotti toscani grandi magazzini europei e qualche statunitense in California, Arizona e Colorado. Il primo tour di affari del Marchese negli Usa fu un successo, soprattutto a New York: il magazzino James McCutcheon di Manhattan, specializzato in lini e sete, divenne un grande acquirente dei ricami fiorentini; nel 1925 in cinque mesi acquistò merce per 700mila lire, una cifra iperbolica a quell’epoca. Ma anche l’importante Lazarus & Rosenfeld Ltd. sulla Fifth Avenue cominciò a comprare porcellane, vetri, e terraglie. A Chicago, Giorgini raccolse ottimi risultati con la catena di magazzini Carson, Pirie, Scott & Co., una delle più importanti della città. Ebbe successo anche in realtà più piccole, come St. Louis, dove il magazzino Scruggs-Vandervoort & Barney, fondato nel 1850, fu per anni il suo maggiore committente in America di mobilio e di elementi di arredo.

Che cosa piaceva di più oltreoceano a quel tempo? Gli oggetti di imitazione dell’antico, l’artigianato legato alla grande tradizione artistica toscana. «I valori della classe media bianca protestante americana – racconta ancora Letizia Pagliai – si rispecchiavano nel Rinascimento fiorentino. Questo spiega la costruzione di ville che denotavano ammirazione per il XVI secolo italiano….. e rende comprensibile la grande domanda di elementi di arredo che colonizzarono le case della ricca borghesia americana».
Poi ci furono gli anni bui del Secondo Conflitto mondiale. Dopo la tragedia della guerra, gli alleati affidarono a Giorgini il compito di gestire il bazar per le truppe angloamericane a Firenze. Facendo salti mortali – mancava tutto – nell’ottobre del 1944 in via dei Calzaioli fu allestito un locale per la vendita dei prodotti dell’artigianato artistico toscano, l’Allied Forces Gift Shop dove il Marchese riuscì a offrire maioliche, ricami, alabastri, mobili antichi, pelletteria.

Guccio Gucci, il cui laboratorio si trovava isolato sul Lungarno Guicciardini perché i tedeschi avevano fatto saltare i ponti, espose lì borse e valigie. Fu un grande successo; poi, con la partenza delle truppe alleate, l’inevitabile battuta d’arresto, ma nel 1946 riapparvero i compratori statunitensi. A questo punto Giorgini tentò un’impresa che ormai fa parte della Storia della Moda: proporre un insieme di collezioni italiane ai compratori dei grandi magazzini americani, giunti in Europa per le sfilate parigine. È il First italian high fashion show che si tenne a casa sua, villa Torrigiani, in via dei Serragli il 12 e il 14 febbraio 1951. Sfilarono le case romane Carosa, Fabiani, Simonetta, le sorelle Fontana, Schuberth, e le milanesi Vanna, Noberasco, Marucelli e Veneziani. L’accoglienza fu straordinaria, tanto che la seconda manifestazione ebbe luogo tra il 19 e il 21 luglio al Grand Hotel e il 22 luglio dell’anno successivo nella sala Bianca di Palazzi Pitti dove, oltre agli americani, arrivarono gli inglesi, i tedeschi, gli scandinavi e, anche, i francesi che non potevano più ignorare il fenomeno. Era nata l’Alta Moda Italiana.
Giorgini è scomparso a Firenze nel 1971.
Immagine di apertura: i Grandi Magazzini Carson, Prie, Scott & Co. di Chicago, costruiti nel 1899: Giorgini avviò con loro un notevole flusso di affari dalla Toscana (foto di Victor Grigas)