Milano 27 Settembre 2023
Un intellettuale che racchiude in una esistenza tumultuosa una rete di relazioni dove si intrecciano il giornalismo militante, l’opera lirica, il teatro e la poesia. È Luigi Illica (1857-1919), oggi ai più sconosciuto, che esce dall’ombra di decenni grazie al libro Il Genio Ribelle,” Luigi Illica una vita da Bohème” (pubblicato dalla Fondazione Donatella Ronconi Enrica Prati), del giornalista Giangiacomo Schiavi, editorialista de Il Corriere della Sera, di cui è stato a lungo cronista e poi vicedirettore.
Nato a Castell’Arquato, in provincia di Piacenza nel 1857, Luigi, spirito ribelle fin dall’adolescenza, viene tenuto a bada dal babbo Diogene, notaio che, stufo dei suoi colpi di testa, lo fa imbarcare poco più che sedicenne come mozzo su una nave pronta a salpare per l’Oriente di salgariana memoria. Non pago dei mari dei Sargassi, Luigi nel 1878 si arruola volontario come soldato nella guerra russa-ottomana. Entusiasmo alla Lord Byron da cui il giovane piacentino esce vivo. Non si intuiscono i suoi studi disordinati: libri trovati a casaccio, letti, divorati e assimilati nel trambusto di coperta o nella trincea o in un bivacco improvvisato sempre in lotta perenne per avere un lume per decifrare una pagina. Di penna facile, si fa notare dalla Arcadia letteraria sul numero di Spartaco dell’11 agosto 1878. Dalla trincea a Milano l’anno dopo, dove Illica conosce i vecchi esponenti della Scapigliatura, come Emilio Praga e Arrigo Boito e crede di rinverdire quella corrente che sembrava esausta, rientrata nei ranghi, convinta di avere detto tutto. Racconta l’autore: «Illica si muove senza timidezze in un mondo effervescente che sembra cucito addosso alla sua straripante personalità, si sente un moschettiere e da moschettiere entra nella compagnia di giro che raccoglie artisti e letterati insofferenti del clima di restaurazione dell’Italia post-unitaria».
Una scuola di vita che si svolge non nei salotti ma nelle osterie. Il conterraneo giornalista Francesco Giarelli lo fa entrare nella redazione della Ragione, battagliero quotidiano fondato da Felice Cavallotti e qui apprende il mestiere con Paolo Valera. Sono anni cruciali per il giornalismo milanese con un clima effervescente fatto di sfide e duelli per piccoli screzi. Luigi Illica per breve tempo collabora a Il Corriere della Sera, appena nato, fondato da Eugenio Torelli Viollier. Comincia con le recensioni di teatro, si affina nel riassumere le notizie collaudando la sua abilità di titolista. Tuttavia, Illica rimane un bohémien inseguito dai creditori per pigioni non pagate, cambiali scadute e soprattutto per il freddo patito nell’abbaino del calzolaio milanese dove era alloggiato. In una notte del freddo inverno meneghino è costretto a bruciare i modelli di legno delle scarpe del suo padrone di casa. L’inquieto Illica nella primavera del 1881 accetta di traferirsi a Bologna per una nuova avventura editoriale invitato da Giuseppe Barbanti Brodano e dell’amico Luigi Lodi, allievo di Giosuè Carducci, cattedratico, poeta e futuro Premio Nobel. Nasce così un foglio quotidiano Don Chisciotte. Sottolinea l’autore che Illica è direttore, primus inter pares, di un triunvirato che viene subito accostato ai moschettieri con Giosuè Carducci nel ruolo di D’Artagnan. Il poeta vate debutta come combattente a fianco dei giovani per la libertà denunciando le camarille del governo e dei potentati di turno. La redazione è un fiorire di idee in un clima festaiolo dove non manca il buon vino. Illica si rivela un polemista che usa la penna come il fioretto.
Il foglio bolognese anticipa la modernità di un giornalismo tagliente e frizzante. Le forze dell’ordine colgono l’occasione di qualche tafferuglio in strada per arrestare Illica e compagni. Dopo una polemica estiva con il giornale locale rivale, ci si sfida a una serie di duelli con riappacificazioni (in uno di questi il nostro perde un orecchio). Illica viene estromesso dalla direzione. Ma l’amicizia con Carducci non si incrina, anzi si rinsalda al punto che il poeta intercede nella ennesima lite col padre Diogene. Tornato a Milano riallaccia i rapporti con Arrigo Boito e debutta nella narrativa e, poi, nel teatro. I suoi testi non sono memorabili, ma lo lanciano nella sua nuova prolifica professione di librettista d’opera. L’esordio è con l’opera La Wally di Alfredo Catalani e poi Le Maschere di Pietro Mascagni. Scrive il libretto di Andrea Chénier di Umberto Giordano. Un trionfo! La sua nuova attività è salutata dall’elogio di Giuseppe Verdi e viene tenuta d’occhio dall’editore Giulio Ricordi. Nel frattempo, conosce il letterato Giuseppe Giacosa e l’amico Ferdinando Fontana gli presenta Giacomo Puccini. Ricordi chiede a Puccini una nuova opera e affida a Illica il libretto di Bohème. Il poeta ne fa una specie di autobiografia. Puccini non è soddisfatto e Ricordi si rivolge a Giacosa per mettere a posto il testo. Nasce così un sodalizio a tre, tra liti e contrasti, ma il successo del pubblico arride con risonanza mondiale anche con le opere successive, Tosca e Madama Butterfly.
I librettisti non godevano allora di buona considerazione da parte della critica letteraria ufficiale e sono rimasti ancora oggi relegati al ruolo di minori e gregari dei grandi musicisti d’opera. Eppure, la parola è il fondamento della lirica e si vincola alla musica con un respiro divino. Luigi Illica fece della sua vita avventurosa un poema. Aveva tante cose da dire ma … «una sola, grande come il mare, come il mare profonda ed infinita…», parafrasando Mimì di Bohème. Mai preso sul serio dall’Accademia per la carica di irresistibile simpatico guascone. Dopo la morte di Giacosa, scomparso nel 1906, tentò di proseguire la collaborazione con Puccini riprendendo il progetto di un dramma storico su Maria Antonietta che non fu mai portato a termine. Morì all’età di sessantadue anni a Colombarone, poggio sopra Castell’Arquato. Telegrammi di cordoglio da Arturo Toscanini, «amatissimo amico», e da Giacomo Puccini «tremenda sciagura».
Immagine di apertura: un particolare della copertina del libro di Giangiacomo Schiavi Il genio ribelle, “Luigi Illica una vita da Bohème”, edito dalla Fondazione Donatella Ronconi Enrica Prati