Gli italiani? Popolo di risparmiatori. Nel mondo ci giochiamo con i giapponesi la supremazia mondiale nella classifica di chi accantona di più. È un primato che resiste nel tempo. Soltanto negli anni immediatamente successivi alla crisi degli anni 2011-2012 si era registrato un leggero rallentamento. Ma già a partire dal 2017, come ha rilevato uno studio condotto da Banca d’Italia e Istat nel maggio di quest’anno, la ricchezza privata è ritornata a crescere.

Le cifre contenute nella ricerca sono eloquenti. Le famiglie italiane a fine 2017 disponevano complessivamente di 9.743 miliardi di euro, un livello che vale ben otto volte il reddito disponibile delle stesse famiglie. Come dire che nel tempo è stato accantonato molto più di quanto si è speso in consumi. Ovviamente, come in tutte le statistiche, si tratta di valori medi. Ciò non toglie che il fenomeno esista e che vada analizzato.

Premesso che le abitazioni rappresentano la principale forma di investimento delle famiglie (per 5.246 miliardi di euro, più della metà della ricchezza lorda), dove vanno a finire i risparmi degli italiani? Se togliamo il valore delle case, magari diminuito delle rate di mutuo ancora da pagare e delle altre passività (che sono inferiori, rispetto agli altri Paesi industrializzati, in rapporto al reddito), resta una cifra che supera ampiamente i 4.000 miliardi di euro.

Sempre secondo lo studio Bankitalia-Istat, la somma delle attività esclusivamente finanziarie (vale a dire i conti correnti bancari e le varie forme di investimento, dai buoni postali ai fondi comuni, dalle azioni alle obbligazioni) arrivava a fine 2017 a ben 4.374 miliardi di euro, in crescita rispetto all’anno precedente. La loro incidenza sulla ricchezza netta complessiva, precisano i ricercatori, “è risultata tuttavia inferiore a quella registrata in altre economie”. Come dire che gli italiani continuano sì a creare risparmio, ma non lo investono nelle attività produttive. Significativo è in proposito il dato relativo ai capitali depositati sui conti correnti. In questo caso è l’Abi, l’associazione delle banche, a quantificarli in 1.400 miliardi di euro a fine 2017, saliti a 1.500 nel 2018.

Che cosa spinge gli italiani a tenere immobilizzata una somma di denaro così alta (oltre tutto non remunerata)? Un eccesso di prudenza. O, se vogliamo, una carenza di fiducia. E qui dovrebbe essere la politica a intervenire. Ma questa è un’altra storia.

Immagine d’apertura: foto di Nattanan Kanchanaprat

Nato a Rivanazzano Terme (Pavia) è giornalista professionista dal 1977. Per quasi trent'anni alla redazione Economia del "Corriere della Sera", è tuttora titolare della rubrica quotidiana sulla Borsa Valori. Prima di approdare nel 1986 a via Solferino, è stato Caporedattore a "Il Mondo" e in precedenza ha lavorato al "Sole24ore" e alla "Gazzetta del Popolo" di Torino. Tra i suoi libri, "Guida facile alla Borsa", Sperling & Kupfer (tre edizioni, l'ultima nel 2000) e "Meno Agnelli, più Fiat, cronaca di un cambiamento", Daniela Piazza Editore, 2010.Nel 2019 per Mind Edizioni è uscito il suo ultimo libro, "Difendi i tuoi soldi. Capire prima di investire".

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