Firenze 27 Febbraio 2023

Non allarmatevi se ad una certa età manifestate le prime difficoltà di memoria, ad esempio non ricordare la data del giorno, il nome di un amico o della via da cui passate spesso.
Non è l’inizio dell’Alzheimer, vero spauracchio per chi ha superato i settant’anni, né un deficit delle capacità intellettuali legato all’età. In realtà, sono molte le ragioni per cui la memoria di chi ha superato il giro di boa delle settanta primavere può fare cilecca, ma non necessariamente in modo irreversibile. Tra le più importanti, c’è la depressione, quella vera, non l’umor nero che è uno stato d’animo transitorio, tanto che è responsabile del 10 per cento circa dei casi di disturbi della memoria e di deficit intellettuale. Il 20 per cento è attribuibile a microinfarti cerebrali multipli, un altro 20 per cento ad abitudini tutt’altro che sane come il fumo, l’obesità, la sedentarietà, un consumo eccessivo di alcolici; il restante 50 per cento è dovuto alla malattia di Alzheimer nelle fasi iniziali. Quindi, quest’ultima è in gioco soltanto nella metà delle perdite di memoria (al contrario di quanto comunemente si crede).

Quando si sono superati i settant’anni al primo deficit di memoria o di attenzione, si pensa subito all’Azheimer. Ma non è così, può essere una forma depressiva (foto di tumisu)

Purtroppo capita spesso che il medico di fronte a questi quadri, sia portato a sospettare una demenza in fase iniziale senza prendere in considerazione altre possibilità diagnostiche. Non dovrebbe accadere, ma talvolta la fretta, una scarsa esperienza in campo psicogeriatrico, la paura di lasciarsi sfuggire una diagnosi così importante che comporta sempre gravi conseguenze sull’ambiente familiare e sulle strutture sociali, mettono in ombra le alternative. Anche il coinvolgimento emotivo del medico talvolta è responsabile di un rapporto superficiale, di distanziamento dal paziente anziano malridotto, che, secondo lo stereotipo più diffuso, sta male semplicemente perché è vecchio. In alcuni casi i sintomi della depressione, soprattutto nelle forme dominate da apatia totale, disinteresse e indifferenza verso ogni cosa, grave perdita della memoria, fino all’incapacità di ragionare, si manifestano in modo da simulare un importante danno organico cerebrale. Spesso le persone depresse si esprimono a stento, con lunghe pause tra le parole e con sguardo vuoto, smarrito. A quel punto, il passo verso la diagnosi di demenza è breve. Niente di più sbagliato. Sono in realtà “pseudodemenze”, forme depressione che si risolverebbero con una appropriata terapia con farmaci antidepressivi. Capita spesso? Più di quanto si creda perché negli anziani c’è una maggiore predisposizione alla depressione attribuibile alla precarietà dell’equilibrio esistenziale favorito da tutti quei fattori che portano all’isolamento: il pensionamento, la riduzione del reddito, per citarne solo alcuni. Anche la sedentarietà, la mancanza di esercizio fisico, compromettono il senso del benessere predisponendo alla depressione.

La depressione e la malattia di Alzheimer hanno caratteristiche e sintomi molto diversi. Sta al medico riuscire a distinguerle (foto di Gerd Altmann)

Sebbene la somiglianza tra depressione e malattia di Alzheimer in fase iniziale sia molto comune, ci sono diversi criteri per distinguere le due patologie. Anzitutto hanno una diversa evoluzione: la depressione si presenta ed evolve entro un tempo piuttosto breve, di solito qualche settimana. La comparsa dell’Alzheimer è più insidiosa e più lenta, con una gradualità che va da diversi mesi a qualche anno. Ci sono altre differenze significative: mentre la depressione migliora nelle ore serali, la demenza tende ad aggravarsi quanto più si va verso sera, con comparsa di irrequietezza, agitazione e peggioramento delle residue capacità mentali. Anche perché la diminuzione progressiva della luminosità diurna compromette l’orientamento spaziale e il riconoscimento delle persone nell’ambiente. Poi, chi soffre di depressione si rammarica di non ricordare, mentre il malato di Alzheimer tende a negare le proprie difficoltà di memoria. L’assunzione di alcolici, come forma di autoterapia è più frequente tra i depressi che rispondono tra l’altro alle terapie farmacologiche in misura maggiore rispetto ai pazienti colpiti da Alzheimer.
Si potrebbe pensare che oggi disponiamo di esami strumentali che ci mettono al riparo dal confondere una depressione con l’Alzheimer. Non è così, la diagnosi erronea di Alzheimer è tutt’altro che rara, nonostante le moderne tecniche di visualizzazione quali la Tomografia Computerizzata del cervello (TAC), e la Risonanza Magnetica (RM). La figura chiave è il medico che deve essere in grado di distinguere le due patologie, forte dell’esperienza e della sua competenza. E di una particolare attenzione verso l’anziano e le sue problematiche esistenziali che oggi chi indossa un camice bianco non sempre ha. Anzi spesso il medico di medicina generale è responsabile – perché non le dà il giusto peso – della prescrizione di sedativi e benzodiazepine che possono arrecare danno alle strutture cerebrali compromettendone nel tempo equilibri biochimici e circuiti neuronali, aprendo così la porta alla depressione.

Immagine di apertura: foto di Gerd Altmann

Nato a Reggio Calabria, fiorentino di adozione, neuropsichiatra e geriatra. Laureato in Medicina presso l'università di Messina, dopo l’esperienza di medico condotto in Aspromonte, si è trasferito a Firenze presso l’Istituto di Gerontologia e Geriatria diretto dal professor Francesco Maria Antonini. Specializzato in Gerontologia e Geriatria, Malattie Nervose e Mentali, presso l'Ospedale I Fraticini di Firenze si è occupato del settore psicogeriatrico. È stato docente di psicogeriatria all'Università di Firenze. Ha collaborato al "Corriere della Sera" con una rubrica dedicata alla Geriatria.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.