Pavia 27 Maggio 2024

L’allarme è stato lanciato da Ed Holt, giornalista del Lancet, autorevole rivista inglese in ambito medico fondata nel 1823 da Thomas Wakley. Holt riporta una ricerca condotta dall’organizzazione internazionale Human Rights in Mental Health-FGip e dal Centro Andrei Sacharov (intitolato allo scienziato che, dopo aver contribuito alla realizzazione della bomba all’idrogeno sovietica, divenne il più famoso oppositore del regime negli anni Settanta), presentata nell’aprile scorso al 32esimo congresso dell’Associazione Psichiatrica Europea a Budapest, che ha denunciato un forte aumento dell’uso della psichiatria come mezzo di repressione. Ovvero dell’utilizzo del ricovero coatto in strutture psichiatriche (e della sua minaccia) come strumento per reprimere e punire il dissenso politico.

19 febbraio 1992: un dissidente ricoverato in un ospedale psichiatrico di Mosca viene legato da due inferrmieri (fonte: Keblog.it foto: Peter Turnley/Corbis)

Il dossier parla di 86 casi accertati di abuso della psichiatria dal 2015 a oggi, 50 di questi negli ultimi due anni. Holt ha interpellato Robert van Voren, amministrato delegato della FGIP, la Federazione dell’Assistenza Psichiatrica nel Mondo. Secondo l’esperto i casi effettivi di uso distorto e a fini politici della pratica psichiatrica potrebbero essere molti di più di quelli accertati, visto il clima interno che consente alle autorità russe di farlo impunemente, mentre tutte le attenzioni sono rivolte alla guerra contro l’Ucraina e ogni manifestazione di dissenso rischia di essere considerata anti-patriottica e quindi passibile di severe punizioni.
Nulla di nuovo sotto le cupole del Cremlino, comunque. Già ai tempi dell’Unione Sovietica, i dissidenti rischiavano di finire in manicomio, o ci finivano davvero. Nel 1961, una circolare approvata dal Ministero della Sanità introdusse il concetto di “pericolo pubblico” stabilendo il ricovero coatto d’urgenza in strutture psichiatriche per chi lo rappresentava; nello stesso anno, il nuovo codice penale dell’Urss estese lo stesso concetto, rafforzando così il potere coercitivo e punitivo dell’autorità. Uno dei casi più clamorosi e dibattuti in Occidente fu quello del generale Piotr Grigorienko. Nato in Ucraina, nell’oblast di Zaporizha (località che ci è ormai familiare per la presenza della grande centrale atomica, costantemente a rischio di danneggiamenti e di incidenti a causa della guerra), ufficiale dell’Armata Rossa durante la Seconda Guerra Mondiale e poi docente della prestigiosa Accademia militare Frunze, cadde in disgrazia all’inizio degli anni Sessanta per le crescenti critiche alla linea del partito.

Il dissidente sovietico Piotr Grigorienko (1907-1987)  in una immagine degli ultimi anni (fonte: russiainphoto.ru)

Arrestato una prima volta nel 1964 – mentre ai vertici del Pcus e dello Stato si insediava la “trojka” formata da Breznev, Kosygin e Podgornyi, dopo l’estromissione e il pensionamento di Nikita Krusciov – e degradato a soldato semplice, venne internato in una struttura psichiatrica. Nel 1969, dopo che era diventato un punto di riferimento dell’opposizione al regime comunista, il secondo arresto e il nuovo ricovero in manicomio, da dove uscì nel 1974. Tre anni più tardi, mentre si trovava negli Stati Uniti per  cure mediche, venne privato della nazionalità sovietica. Grigorienko morì da esule, a New York, nel 1987.
Tornando all’inchiesta di Holt, come esempio dell’utilizzo della psichiatria punitiva per reprimere il dissenso, egli cita la vicenda di Olga Kuzmina, attivista ambientale e per i diritti umani di Mosca, che nel 2022 ha trascorso cinque giorni in un ospedale psichiatrico, dove è stata condotta contro la sua volontà dopo l’arresto per aver denunciato quello che lei considerava un abuso edilizio nella capitale; poi rilasciata, è stata in seguito dichiarata “malata di mente” da un altro tribunale ed ora è in attesa dell’esito del suo ricorso contro la sentenza. Vitali Servetnik, coordinatore del Russian Enviromental Crisis Groupe, ha dichiarato al Lancet che gli ambientalisti russi temono che la psichiatria punitiva venga utilizzata dal regime per fermare e scoraggiare gli attivisti che fino a non molti anni fa potevano temere solo multe e pene detentive. Pene che hanno una ben precisa scadenza temporale, mentre i trattamenti psichiatrici forzati in Russia possono essere a tempo indeterminato e il rilascio di chi viene sottoposto a queste cure consentito solo con il consenso medico.

Manifestazione di dissidenti a Mosca prima della morte di Navalny (foto di Dmitri Lovetsky)

Holt denuncia poi la sostanziale omertà e la mancanza di trasparenza dei procedimenti giudiziari che riguardano questi trattamenti: non vengono resi pubblici, a differenza delle sentenze definitive, impedendo così all’opinione pubblica di esercitare una qualche forma di controllo. Anche il lavoro degli avvocati difensori degli internati viene ostacolato perché ci sono maggiori restrizioni alle visite rispetto a quanto avviene normalmente nelle carceri russe. «Praticamente non c’è accesso agli ospedali psichiatrici per gli osservatori indipendenti» ha detto al Lancet uno psichiatra moscovita che ha chiesto l’anonimato.

Un altro aspetto preoccupante è legato al degrado delle strutture cui sono destinate le vittime della psichiatria punitiva. Lo psichiatra di Mosca ha affermato che le condizioni degli ospedali psichiatrici russi, in particolare di quelli che forniscono cure obbligatorie, “possono essere definite di tortura”: violazioni dei diritti umani e casi di stupro e percosse verificatisi in alcuni ospedali. Stando alle sue rivelazioni, in passato diversi medici si sono espressi contro le ordinanze dei tribunali per trattamenti psichiatrici, ma non hanno sortito alcun effetto perché i giudici hanno semplicemente ignorato le loro raccomandazioni e contestazioni.

Vladimir Putin, 71 anni, in una immagine di Vika Glitter

Al momento attuale, secondo alcuni attivisti, molti psichiatri hanno paura di parlare, perché in passato alcuni di loro sono stati costretti a lasciare il lavoro mentre altri stanno affrontando condanne penali per aver fornito aiuto a persone in comunità ritenute una minaccia per lo Stato. «Sarebbe ingenuo aspettarsi che lo facciano, visto il livello di repressione politica cui siamo arrivati», ha detto al Lancet Nef Cellarius, coordinatore del programma per l’organizzazione LGBT+ russa.
Di fronte a questa situazione, la rivista scientifica inglese si è rivolta alla Società Russa di Psichiatria, ponendo una serie di domande, senza, però, ottenere alcuna risposta. Lo stesso muro di gomma è stato riscontrato interpellando l’Associazione psichiatrica mondiale e quella europea, che hanno interrotto i rapporti con i colleghi russi dopo l’attacco all’Ucraina. Un silenzio che sembra testimoniare la sostanziale indifferenza della comunità psichiatrica europea ed internazionale agli abusi e al distorto utilizzo della pratica psichiatrica che sta avvenendo in Russia.

Immagine di apertura: foto di Wikilmages

Nato a Broni (Pavia) nel 1962, laureato in Lettere Moderne all’Università di Pavia con una tesi di Storia del Risorgimento, lavora dal maggio 1990 al quotidiano “La Provincia Pavese” (gruppo Gedi). È giornalista professionista dal 1992. Si è occupato di cronaca locale, cultura, spettacoli e sport. Attualmente è vicecaposervizio del settore Sport e tempo libero del giornale. Ha collaborato alle riviste “Storia e dossier”, “Storie di guerre e guerrieri”, “History”, “Storia in rete”. Ha pubblicato “La spia di Stalin. La vera storia di Carlo Codevilla” con Mursia (2015) e “Vincitori e vinti”, insieme al collega Fabrizio Guerrini, con Primiceri (2020)

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.