Milano 21 Dicembre 2022
Alle solite, diresti. Le librerie sono già piene di resoconti dai vari teatri della cronaca: guerra, pandemia, barconi …. Raccolte di articoli dell’inviato di turno e destinate presto al macero, superate dagli eventi.

Andrea Nicastro, 34 anni di Corriere della Sera – dalla Bosnia alla Cecenia, dall’Afghanistan all’Iraq – con il taccuino pieno di quegli infiniti 82 giorni di Mariupol, ultimo baluardo ucraino nel Donbass stretto nel cappio dell’armata rossa, fa una cosa diversa. Nella prefazione del suo libro, L’assedio – Il romanzo di Mariupol pubblicato da Solferino assicura: tutti i fatti riferiti sono veri, o quasi, “dirette” dalla tragedia e testimonianze dei reduci. Ma questa materia prima viene plasmata “in forma di romanzo invece che di reportage” (procedura, si sa, con illustri precedenti). Cioè: i nomi di Ivan e Olena, di Ylenia e Pavel, di Olga e Vadym e di tanti altri personaggi che popolano le 268 pagine del libro coprono decine, centinaia di vicende diverse di un Medioevo più attuale che mai. Il tutto poi proiettato in un passato remoto: è una nonna, Alina, che aveva 5 anni quando sotto i bombardamenti aveva trovato rifugio con la mamma nei sotterranei dell’acciaieria di Mariupol da dove è fuggita in modo avventuroso, a raccontare al nipotino il tragico 2022. Nel libro siamo nel 2092, settant’anni dopo…… L’autore può permettersi delle licenze senza tradire le pretese della Storia.

Sotto i reagenti messi in campo dalla guerra, un’umanità nuda, oppressi e oppressori, rivela gli aspetti più contraddittori. La “vita da topi” di tanti ucraini animati dall’orgoglio degli antichi cosacchi che qui avevano la base navale e la perfidia dei cecchini appollaiati sui tetti, chi fa il doppio gioco, fame, gelo e terrore nei rifugi, cadaveri abbandonati con il loro fetore nelle strade, la pietà di dare sepoltura, a una persona cara, il miraggio del “finirà presto” o dei “corridoi umanitari”, follie …

Nell’ospedale da campo attrezzato nelle viscere dell’acciaieria l’ufficiale medico Veronika, la madre di Alina, deve farsi giudice di vita o di morte dei soldati feriti: chi salvare amputandogli subito l’arto e chi invece accompagnare alla sua fine con un po’ di morfina. I bambini, eccitati dalle esplosioni, che giocano alla guerra, i vecchi che non vogliono lasciare gli appartamenti devastati. In ogni bomba la mostruosa fame di sangue e distruzione.
Feroci assedianti, russi o ucraini filorussi, contro “i nazisti del battaglione Azov” , come definisce i resistenti ucraini la propaganda di Putin, e in mezzo tanti disperati, solidali davanti a una zuppa calda ma pronti a lacerarsi tra chi vuole l’Ucraina libera a ogni costo e chi dice tanto vale arrendersi: Mosca non ha vinto anche contro Napoleone e Hitler?
Ma è un quadro non riducibile a semplice logica. Quando dalle cannonate si passa al corpo a corpo e con il mitra e si vede negli occhi il nemico che devi uccidere, come capita a Pavel, un panettiere del Donetsk occupato chiamato alle armi contro i “nazisti”, non è più guerra, è lotta fratricida. Caino e Abele. E la sua Natalia stuprata da un branco di miliziani di Mosca si è data al bere, non è più lei. Pavel consumerà la vendetta anche se “quei tipi” sono della sua stessa parte.

A cucire insieme le scene della tragedia sono proprio i racconti di Alina al nipotino, settant’anni dopo e il romanzo prende il volo dalla cronaca. Così la mamma medico non può lasciare i feriti e la affida a un’operaia per la fuga nella profonda Russia: «Mi raccomando – le ultime parole -, mai dire che sei ucraina». Dieci anni di Alina in un orfanatrofio a cancellare la sua identità, la sua lingua. Ma nella lettura dei grandi russi, Tolstoj, Dostoevskij, Cechov, scoprirà le incredibili profondità dell’animo umano che vorrà trasmettere al nipote dopo il ritorno in una Mariupol tornata libera, come Nicastro lascia intendere. Ma non sembra pace vera. Come nell’orfanatrofio nel 2022 guai se Alina si fosse lasciata sentire parlare l’ucraino, nel 2092 il nipote non può conoscere il russo. Le barriere dell’odio sono intatte.

In Ivan la fragilità di tanti giovani nel crollo di una Mariupol sulla via della modernizzazione dove in un piccolo locale con sui muri cimeli dei Rolling Stones si ascoltavano le band. Pagine intense, di vita vissuta. Anche l’autore si è trovato in trappola, solo e senza mezzi, con i carri armati russi a poche decine di chilometri. Tutti scappati gli altri colleghi reporter senza offrirgli un posto, finché una “signora in rosso” gli apre la portiera dell’utilitaria. «È per quell’evidente episodio di magia che ho deciso di scrivere questo libro», spiega Nicastro.. Una magia, un qualcosa, conclude «che soccorre l’umanità dai suoi stessi mostri. E ha salvato anche me da Mariupol».
Chissà, diciamo noi oggi, se nonna Alina nel 2092 avrà in serbo per il nipotino altre storie di magia. Storie vere che rende meglio la penna del romanziere che non la cronaca.
Immagine di apertura: foto di David Peterson