Milano 27 Giugno 2023
L’infelicità dell’essere umano racchiusa in un microcosmo familiare. Sorprendente esordio letterario di una matura funzionaria delle Poste, Carmen Verde, campana (Santa Maria Capua Vetere, 53 anni), residente a Roma, che con la sua prima prova Una minima infelicità (Neri Pozza) è arrivata terza nella classifica del Premio Strega giovani, consegnato il 7 giugno scorso presso il Museo archeologico di Napoli.

È un romanzo essenziale il suo, privo di eventi dinamici e clamorosi, che fotografa un dramma familiare e arriva dritto al cuore. Annetta, l’io narrante, passa in rassegna la sua vita all’ombra dei suoi genitori, di cui pian piano evidenzia, sempre in modo più particolareggiato, lati nascosti e disagi mai verbalizzati. Lei è una bambina minima di statura e di struttura fisica, ben diversa dalle sue coetanee, da cui viene spesso derisa, ma a cui non oppone ribellione bensì sottomissione, cercando di nascondere la sua vergogna. Ma la sua vergogna più grande è quella di non sentirsi all’altezza della madre, Sofia Vivier, bella, alta, sinuosa, ma anche fragile, inquieta, insoddisfatta, che insegue l’amore, a dispetto dei doveri coniugali e delle dicerie della comunità.
Annetta vorrebbe la sua approvazione, amerebbe sentirla vicina, appartenerle. Sofia, invece, è irrimediabilmente distratta e distante, intenta a colmare con l’amore il sul male di vivere. La sua è un’infelicità tramandatele dalla madre Adelina, destinata alla follia con una fine disperata. «La follia di Adelina dominava la nostra famiglia, era nell’infedeltà di mia madre, nella cupezza di mio padre, era nel mio corpo contratto che io stessa guardavo con disgusto».
La figlia non giudica, osserva sua madre, la studia cerca di penetrare il suo animo, ma non la afferra. «Per quanto ci provassi non riuscivo proprio a capire mia madre». E più Sofia è distante, più è chiaro il suo scarso amore, più l’attaccamento di Annetta è illimitato. «Mamma non mi guardava mai, ma la sua indifferenza non faceva che accrescere il mio amore già smisurato».

L’amore non corrisposto le impedisce una crescita autonoma e la rende dipendente in modo ossessivo dalla madre. Molto distaccato è invece il rapporto di Annetta con il padre, ricco commerciante di tessuti, presenza silenziosa e anonima in casa. Anche lui un essere infelice, spento, consapevole dei tradimenti della moglie cui si è rassegnato e di cui evita di parlare. La figlia quasi lo esclude dalla sua vita ma incomincerà a capirlo e a rimpiangerne la compagnia quando diventerà vecchio e malato. «L’improvvisa vecchiaia donò ad Antonio Baldini una grazia sorprendente. Lavò dal suo corpo ogni volgarità».
Queste tre monadi convivono in una grande casa, rinchiusi ognuno nel proprio spazio privato, si sfiorano a malapena durante il giorno senza incontrarsi mai.
Ad animare drammaticamente la solitaria esistenza della famiglia Baldini interviene Clara Bigi, una signora assunta dietro consiglio della suora/ insegnante di Annetta per seguire la ragazza soprattutto nelle sue letture poetiche ritenute poco adatte a lei; chiaro messaggio in realtà di scarsa fiducia nella capacità educativa dei genitori. L’odio per questa persona arcigna e dispotica, il cui autoritarismo cresce di giorno in giorno grazie alla passività genitoriale, crea per la prima volta una certa complicità tra madre e figlia, ma quando la signora verrà allontanata per una grave colpa, tornerà tra loro la distanza abituale.
Dopo la morte del padre Annetta seguirà la madre nella sua lenta deriva fatta di uscite serali, alcol, convivenza con un uomo più giovane, declino fisico, allontanamento dal mondo esterno, atteggiamento sofferente e folle sempre più simile a quello materno. «Riconoscevo in lei l’antica pena di Adelina e l’amavo perdutamente» fino ad arrivare ad una “maestosa agonia”. Dopo la sua morte Annetta rimarrà nella grande casa, ma la ridurrà al minimo, chiudendo quasi tutte le stanze, una volta a lei inaccessibili.

Inizierà il suo percorso di maturazione. Non potrà, però, prescindere dai ricordi e dai fantasmi rimasti nelle camere della memoria. È una storia di dolore, di disagio, di malattia mentale che si svolge quasi tutta all’interno come in un teatro in cui le varie stanze sembrano la metafora della solitudine dei protagonisti. La storia è narrata anche per immagini attraverso alcune foto che ritraggono momenti di vita familiari, nell’intento di comprendere meglio la personalità dei soggetti. Il libro procede per paragrafi brevi, o addirittura brevissimi, con molti spazi bianchi quasi a sottolineare ancora di più i silenzi e le infelicità della famiglia Baldini.
La scrittura è pulita, elegante, a tratti poetica e commovente. Viene spontanea la riflessione sul complesso rapporto madre-figlia a cui tanti scrittori hanno dedicato pagine autobiografiche. Come non ricordare Il ballo, di Irene Nemirovsky, (vendetta di una quattordicenne contro la mamma egocentrica e vanitosa), o Lasciami in pace madre, di Helga Schneider (figlia di una guardiana delle SS nel campo femminile di concentramento di Ravensbruck)?
Si dice che la letteratura aiuta a capire meglio la realtà e, in effetti, le varie testimonianze d’autore passano in rassegna le innumerevoli sfaccettature di questa complessa relazione che rimane, comunque, una pietra miliare nella formazione della personalità individuale.
Ma come dice Annetta, la nostra protagonista: « La vita non è meno della letteratura».
Immagine di apertura: foto di Celf Melys
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