Milano 27 Maggio 2024

Un inno all’imperfezione è l’ultimo libro di Sonia Serazzi Una luce abbondante, edito da Rubbettino. La scrittrice napoletana che vive in un piccolo paese del catanzarese (San Vito sullo Jonio, 1600 abitanti appena) torna in libreria dopo ben sei anni dalla pubblicazione, ancora con Rubbettino, de Il cielo comincia dal basso ( 2018 – premio città di Siderno e premio Cultura mediterranea).

La copertina del libro “Una luce abbondante”, di Sonia Serazzi, pubblicato di Rubbettino

A Sacravento, un paese immaginario senza tempo e senza spazio, “tra tetti sfondati, case abbandonate, baracche di lamiera e viottoli polverosi” vivono delle creature imperfette e disagiate, che affrontano quotidianamente le difficoltà della vita, cercando di scegliere sempre la retta via.
La protagonista è Francabbù, una bimba intelligente che sembrava muta ma quando ha deciso di parlare ha pronunciato, come prima frase, «non è giusto», avendo forse già compreso la durezza della sua esistenza. Ha, infatti, una mamma “diversa”, Marinzaina, dotata di sei dita per ogni mano, grazie alle quali afferra saldamente tante biglie colorate, “antidoto alle catene” e utili a contrastare le “onde” che spesso le scuotono la testa. Marinzaina accumula in casa oggetti di ogni tipo, pensando così di avere il mondo con sé ed è convinta di partorire angeli invisibili ogni volta che incontra dei carabinieri.
Silverio, il padre, è un “prete fallito”, che faceva il fornaio, ma si è impoverito perché, fedele agli insegnamenti della Bibbia e dei salmi, ha distribuito gratuitamente pane ai fratelli poveri che si affacciavano alla sua vetrina. Ora continua a mettere in pratica le norme evangeliche, correndo con l’ambulanza a salvare esseri umani. Ed è proprio in ospedale che il suo destino si è incrociato con quello di Marinzaina, subito identificata come la donna della sua vita. Sono entrambe creature sbagliate, ferite da un passato doloroso.
Silverio, figlio senza padre, è stato “regalato” da una madre senza marito al seminario.

Giuseppe Moroni, “La Pietà”, olio su carta e tela, Diocesi di Fidenza. Cristo ha sei dita nella mano destra come ben si vede nel particolare qui sotto. Nell’arte sacra la polidattilia è abbastanza frequente

Da qui è scappato ritenendosi «un uomo da niente, troppo sciocco per farsi prete». Marinzaina è il frutto di una relazione extra-coniugale del padre, cresciuta poi però amorevolmente dalla moglie ufficiale, che mai aveva ritenuto difettosa questa figlia acquisita. Francabbù ha due soli amici, Marsol e Sarsì; il primo è un bambino “scilinguato”, che fatica a sbrogliare le parole e che è fuggito dal campo “degli orfani ignoti”. Ha abbandonato i suoi distratti genitori naturali, perché convinto di trovare per strada altre mamme e l’amore per crescere. Ha, infatti, incontrato in ospedale Marinzaina e ne è diventato il figlio. Sarsì è una bambina asmatica bisognosa d’aria, figlia di una prostituta dalla quale è stata ceduta a Suor Teresa di Cristo. Questa, in origine Giovanna, si era fatta suora per scappare da una famiglia numerosa, povera e urlante. Suor Teresa amava il convento per il silenzio, la preghiera e la luce della fede. Ma, rimasta sola dopo la morte delle consorelle, ha abbandonato l’abito e deciso di adottare quella bimba “dall’esistenza franata”. Francabbù, Marsol e Sarsì sono bimbi vecchi, cresciuti in fretta, abituati a provvedere a se stessi e agli altri; si aiutano, si proteggono, si sostengono a vicenda. In particolare, Sarsì ha la dote di “annusare” le lacrime di Francabbù, soprattutto quando sono in arrivo i servizi sociali a causa dei “parti angelici” della madre. Stessa paura assale Marsol, ogni volta che si mette a scrivere un tema!

Il particolare che evidenzia le sei dita della mano destra del Cristo nella tela di Giuseppe Moroni

Nel mondo che li circonda, scandito da pregiudizi, le tre creature subiscono l’esclusione perché “difettose”, ma a rincuorarli interviene papà Silverio, che le convince di essere giuste perché creature di Dio; “ed essere giusti non significa essere il meglio, ma solo essere quello che si è”. Questi personaggi “smarginati” hanno ereditato dal dolore e dalla sofferenza saggezza, umanità, sensibilità introspettiva; in essi c’è una “luce abbondante”, capace di trasmettere amore, solidarietà e serenità.
Non c’è trama in questo romanzo breve, ma solo lo scorrere della tortuosa esistenza quotidiana di una famiglia sbagliata. L’autrice entra nell’animo delle sue creature e, aiutata da una fervida fantasia, crea una situazione magica, paradossale in cui ogni oggetto e ogni azione diventa il simbolo della dura lotta contro le avversità della vita. Il suo messaggio ben si inserisce nel mondo contemporaneo e nella realtà universale. Il microcosmo irregolare di Sacravento è, infatti, la sintesi dei grandi problemi con cui l’uomo da sempre deve confrontarsi come l’accettazione di sé, la diversità, la genitorialità. E, seppur in mezzo alle difficoltà, indica una strada spirituale da seguire che è quella dell’umanità, della resilienza.

Una veduta di San Vito sullo Jonio, il paese del catanzarese dove vive la scrittrice

«Davvero in certi giorni mi sento una formica senza una fila da seguire per terra, eppure resisto», dice Francabbù. Silverio cura senza amore il padre che lo ha abbandonato, perché creatura di Dio e perché, senza di lui non avrebbe conosciuto il sole, il mare. «Ognuno per diventare adulto deve fare i conti con la famiglia in cui gli è toccato nascere».
La scrittura è poetica, immaginifica, fatta eccezione per le parti in cui la protagonista narra in prima persona la sua realtà e le sue riflessioni. Sembra a volte che l’autrice si sia lasciata prendere la mano dall’uso del linguaggio ricco di metafore e similitudini. Abbondano le enumerazioni di azioni compiute, oggetti accumulati, sensazioni provate volti ad intensificare i significati di situazioni descrittive ed emotive. È un libro denso, ricco di stimoli e riflessioni, serio, ben scritto…Anche se rivela qualche volta un eccesso di compiacimento linguistico e una certa intellettualistica presunzione.

Immagine di apertura: uno scorcio notturno di un borgo nel catanzarese (foto di Mark Harpur)

Nata a Noci (Bari) sull’altopiano delle Murge, è laureata in Lettere Classiche all’università Cattolica di Milano, città dove ha poi sempre vissuto e insegnato nelle scuole medie e in quelle superiori. Ama viaggiare, cucinare, frequentare i concerti, ma soprattutto leggere. E’ "un'appassionata" di parole scritte, soprattutto sulla carta e non su kindle.

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