Milano 23 Maggio 2020
Quella di Misericordia, il nuovo spettacolo di Emma Dante, sarebbe stata una lunga tournée, fino a questo mese di maggio. Invece il teatro, una delle maggiori vittime del cosiddetto “distanziamento sociale”, come tutto il settore degli spettacoli dal vivo o, comunque, con il pubblico in sala, è entrato in una quarantena da cui ancora non si comprende se e come sarà possibile uscire.

Davvero ci vorrebbe la “misericordia” di un virus che perda la sua potenza di contagio o di una cura-vaccino che riporti alla possibilità di stare vicini e commossi su una poltrona in platea. Purtroppo nessuno sembra avere le idee chiare, anche perché le piattaforme streaming sono l’esatto contrario della definizione “spettacolo dal vivo”. Dominique Mayer, Sovrintendente della Scala, parla chiaro: «Se dovessimo fare accomodare ciascun spettatore al proprio posto, partendo dalla poltrona più al centro, ci vorrebbero delle ore. Il distanziamento è impossibile». Dal Sistina di Roma, tempio della commedia musicale, il direttore artistico Massimo Romeo Piparo pone paletti: «Vi immaginate gli spettatori al teatro seduti a distanza di cinque-sei poltrone l’uno dall’altro? È inapplicabile, idee che disarmano. Come regoli l’ingresso? E l’accesso ai bagni? Meglio niente, meglio chiusi». E immagina di riconvertire alcuni spazi per affittarli all’Università. Nel frattempo gli “invisibili del teatro” (tecnici del suono, della luce, macchinisti, facchini, sarti, direttori di scena, truccatori, impiegati negli uffici, maschere e altri ancora) ma anche molti attori e registi dei circuiti delle piccole sale, che già vivevano un precariato totale, si dichiarano decisi a cambiare lavoro.

Qui allora, con un senso di speranza, si vuole evocare (verbo più adatto di recensire, nella necessaria cattività che viviamo) Misericordia, scritto e diretto da Emma Dante, che dopo il debutto trionfale al teatro Grassi, sede storica del Piccolo di Milano (che lo coproduce) è rimasto parcheggiato e pronto in attesa di tempi migliori. E le sue protagoniste, esemplari di un’umanità emarginata, da confine urbano, sono diventate involontarie metafore di un settore, il teatro, molto negletto negli interessi di chi governa.
Negli spettacoli di Emma Dante (ricordiamo Le sorelle Macaluso, Bestie di scena, La Scortecata) c’è sempre la perfezione dell’imperfezione, la centralità della periferia, la consuetudine dell’estremizzazione, il cuore di chi non ha il tempo di averlo, la poesia della vita nuda e cruda, la misericordia là dove i sentimenti sono stati spenti. E appunto Misericordia si chiama quest’ultima creazione della regista e autrice siciliana.
È una storia di periferia (umana ancor prima che cittadina), di povertà (morale oltre che materiale), di reclusione in una vita non scelta ma subita, dove l’esercizio della prostituzione anche in tarda età è vissuto con inerte rassegnazione, come un “fine pena mai”.

Eppure, ecco che fiorisce la misericordia in questo degrado di tre donne che convivono, si aiutano per abitudine tra una lite e l’altra, sferruzzano con la stessa indifferenza con cui ballano, imperfettissime e seminude, davanti all’uscio di casa per attirare qualche cliente (un ballo in cui la regia punta su un’energia ancestrale, residuo di un’altra umanità possibile, e nello stesso tempo preparato quasi come un ripetitivo cambio della guardia tra sentinelle). Non sono scene immaginate, ma realisticamente “teatralizzate” di vita vera, intensamente non vissuta, in tanti quartieri cittadini dedicati una volta alla prostituzione “casa e bottega”, oggi sostituite dalla strada, e basta.

Senza mai inclinare al romanticismo elitario che altri hanno utilizzato per descrivere un sottobosco confinante con l’ordinario borghese e mantenendo il suo stile, solo apparentemente esasperato, ma sempre crudo e poetico, Emma Dante racconta l’atto di amore di queste donne, perdute alla società “civile”, che crescono come mamme il figlio autistico di una “collega”, morta sotto la violenza del suo cliente abituale, un falegname soprannominato Geppetto. Ed è sempre un atto di amore che le fa decidere ad aprire al ragazzo ormai cresciuto le porte di casa per seguire il suono di una banda (che forse lo porta alla perdizione nel Paese dei Balocchi o forse davvero in una casa famiglia dove potrà essere accudito), mentre lo vestono come un novello Pinocchio, simbolo della possibilità di riscoprire la vita, di rinascere.

Sul palcoscenico la regia teatralizza la realtà senza fare sconti estetici, anche se le luci di Cristian Zucaro sono essenziali per creare ambiente senza scenografia. Lo spettacolo trova espressione piena nel dialetto (siciliano e pugliese) e nei movimenti, duri e flessuosi, delle tre attrici Leonarda Saffi (oversize con danzante leggerezza), Italia Carroccio e Manuela Lo Sicco. Sono eccellenti, a dir poco, perché riescono a descrivere insieme l’umanità capace di sopravvivere nelle viscere nascoste della città e l’animalità di comportamenti borderline, diventati consuetudine quotidiana. Con loro, il ballerino Simone Sambelli, straordinario in senso assoluto, fa diventare danza incessante l’autismo e rende visivo il concetto di misericordia.
Immagine di apertura: una scena dello spettacolo Misericordia di Emma Dante al debutto al Teatro Grassi di Milano nel gennaio scorso. foto di Masiar Pasquali