Milano 28 Maggio 2022
Vedere le immagini del Mer de Glace, il ghiacciaio più famoso d’Europa, sul lato francese del Monte Bianco, oggi e confrontarle con quelle di cento anni fa venire i brividi e fa pensare che sia proprio vera la fosca previsione che a fine secolo questi giganti bianchi siano destinati all’estinzione. Gli studi dell’università di Grenoble rivelano che il Mer de Glace si sta ritirando di 30-40 metri ogni anno e che in trent’anni ha perso quasi un chilometro della sua estensione.

Numeri impressionanti: l’emergenza esiste, indiscutibile. Ma da qualche anno è comparso uno nuovo rituale: in varie località alpine a fine primavera, coperture bianche vengono stese sui ghiacciai per essere poi rimosse all’inizio dell’autunno. Si tratta di teli di poliestere e fibre di propilene con uno spessore di 3-4 millimetri che riflettono la luce solare, proteggendo lo strato di neve e il ghiaccio sottostanti dai raggi ultravioletti.
I primi teli geotessili sulle Alpi svizzere sono stati installati nel 2004. Attualmente nelle Confederazione Elvetica sono utilizzati in nove siti: di questi, il più noto è il ghiacciaio del Rodano, nel Vallese. In totale, i fogli si estendono su circa 180.000 metri quadrati e coprono lo 0,02 per cento della superficie dei ghiacciai svizzeri; pressappoco l’equivalente di 25 campi da calcio.

Questo tipo di copertura viene utilizzata anche in in Italia, in Francia, in Austria e in Germania. Sul ghiacciaio Presena della Presanella in Trentino, la superficie dei teli è passata da 20.000 a 100.000 metri quadrati in poco più di un decennio (si è iniziato a stenderli nel 2008). E su quello della Marmolada si srotolano dal 2015 teli lunghi 70 metri e larghi 5, che vengono posati in primavera, agganciati tra loro e rimossi a settembre, prima che inizi a nevicare.
Vari studi condotti in Svizzera hanno mostrato che i teli geotessili possono ridurre lo scioglimento di neve e ghiaccio del 50 per cento e che il volume di ghiaccio salvato ogni anno grazie alla copertura artificiale è aumentato in modo significativo dal 2005. Tuttavia, puntualizzano gli stessi ricercatori, si tratta di una quantità “insignificante”, solo 0,03 per cento dei ghiacciai. Un effetto trascurabile, quindi.

Ma quella del salvataggio è la narrazione che viene spesso affiancata agli interventi di copertura dei ghiacciai: “per salvarli e contrastare il riscaldamento globale”. Ne è esempio la recente campagna promossa da Mastercard, che per ogni transazione eseguita in Svizzera sul circuito di credito tra Ottobre e Dicembre 2021, ha donato alla Cover Project Foundation le risorse necessarie per coprire una porzione di ghiacciaio pari alla superficie di una carta di credito. Un’altra realtà che si muove nella stessa direzione è la start-up Glac-Up, ideata di recente da economisti che si pone l’obiettivo di preservare i ghiacciai alpini con i teli geotessili. La start-up vuole coinvolgere privati e aziende, che potranno “adottare” una parte di un ghiacciaio, finanziandone la copertura.
«L’intenzione può anche essere delle migliori, ma l’effetto è decisamente dannoso – commenta Jacopo Gabrieli, ricercatore dell’Istituto di Scienze Polari del Centro Nazionale Ricerche, sede di Venezia, esperto del tema -. Ricoprire i ghiacciai con teli geotessili non è certo l’ultimo ritrovato. È da tempo ormai che si ragiona sul loro utilizzo. Ma quando recentemente sono tornati alla ribalta rilanciati da questa iniziativa, che cavalca la sensibilità collettiva sul tema del riscaldamento globale e dell’allarme clima, allora abbiamo deciso di far sentire la nostra voce e cercare di dirottare l’azione collettiva su obiettivi efficaci. Non solo mediatici».

«È stato dimostrato da studi scientifici – continua Gabrieli – che l’utilizzo dei teli geotessili, che dovrebbero conservare i ghiacciai, in realtà serve solo a conservare lo strato di neve, e non il ghiacciaio. Allungano la stagione sciistica, insomma, prestando un servizio agli operatori del settore, due settimane in più per gli appassionati dello sport, ma nulla di più. Senza considerare poi l’impatto indiretto del carburante per alimentare i gatti delle nevi che portano i teli in quota e della produzione delle materie plastiche per realizzarli».
Problemi sollevati anche da una recente lettera aperta firmata da otto istituzioni scientifiche e da esperti dei maggiori enti di ricerca e università italiane, che sottolinea come bruciare carburante per stendere i teli con il gatto delle nevi significa contribuire all’immissione di CO2 nell’atmosfera. E d’altro canto la plastica di cui sono fatti la maggior parte dei teloni utilizzati – precisa ancora la lettera – è un’altra fonte di inquinamento. Sebbene teoricamente riciclabili, i teli, in realtà, devono essere sostituiti dopo pochi anni per l’usura provocata dalle condizioni ambientali che caratterizzano i ghiacciai.

«Bisogna parlare chiaro: se l’intento è salvare i nostri ghiacciai, questa non è la strada. Bisogna agire sulle cause dei cambiamenti climatici a monte, interrompendo la spirale dannosa. Partendo dalla graduale diminuzione delle emissioni di gas in atmosfera» conclude Gabriele. Tra adattarsi per sopravvivere, come nel caso dei teli, e cambiare paradigma per salvare il pianeta, ci passa un mare, dunque. Anzi una montagna, in questo caso.
Ma c’è chi non si dà per vinto e cerca soluzioni immediate: il glaciologo svizzero Felix Keller propone di raccogliere l’acqua di disgelo in estate e di ritrasformarla in ghiaccio in inverno. Un progetto pilota, unico nel suo genere a livello mondiale, è stato lanciato sul ghiacciaio del Morteratsch. Se sono rose fioriranno o, meglio, se sarà ghiaccio…… congelerà.
Immagine di apertura: gita sul Mer del Glace sul versante francese del Monte Bianco nel 1902 (fonte: Zentralbibliothek Zurigo)