Milano 21 dicembre 2022

«Dopo un boato infernale, una spinta feroce e un salto nel vuoto» Eleonora del Drago piomba in un buio profondo. Qui inizia il sogno/narrazione del quarto romanzo, edito da Pellegrini, Risveglio dal Buio (dopo Tu dentro di me Oltre lo specchio per Aliberti e Quel segno sulla fronte con Imprimatur) di Emilia Costantini, giornalista de Il Corriere della Sera, saggista e autrice di testi teatrali. La protagonista ripercorre “brandelli di vita”, in parte vissuti in parte inventati che riflettono le ansie, gli incubi di una madre, di una moglie, di una professionista affermata. Eleonora è un chirurgo estetico, conduce una vita agiata e brillante con il marito Enrico, oncologo di fama, da cui ha avuto l’adorato figlio Ermanno.

La copertina dell’ultimo libro di Emilia Costantini, “Risveglio dal buio”, pubblicato da Pellegrini

A destabilizzare questa vita borghese, fatta di “bella gente”, di occasioni mondane, di viaggi ed incontri culturali ci pensa la sorte crudele: Enrico viene annientato da un melanoma, Ermanno si prende a cuore la situazione di una ragazza afghana costretta a prostituirsi e questo lo porta ad affrancarsi dal rapporto simbiotico con la madre, anzi, a diventare polemico nei confronti del suo “mondo stupido” in cui, però, anche lui è vissuto finora. Profonda crisi per Eleonora: i ricordi legati al marito, nonostante una nuova relazione, non la abbandonano mai; sente che, per tornare a vivere, deve dimenticare, ma è difficile dopo tanto amore, tanta dedizione e tanto smarrimento seguito alla perdita.
Avverte anche il peso di dover gestire da sola la situazione del figlio il cui distacco la rende un’innamorata ferita. Ricorre all’aiuto di una psicologa, Letizia, conosciuta durante un dibattito televisivo che, sempre nella narrazione onirica, diventa la voce narrante che chiosa i contenuti delle varie sedute nel suo studio “lavatrice-ricovero“. La terapeuta, rivolgendosi alla sua assistita in uno stile epistolare, ripercorre la storia della loro relazione e fornisce interpretazioni psicologiche relative a comportamenti e scelte dell’amica non sempre lusinghieri. «Madre e figlio sono proprio due invasati. Entrambi emersi dalla bambagia della Roma bene, catapultati nell’impero del male».
D’altra parte la mamma “gelosa”, per comprendere la scelta del figlio, sente la necessità di conoscere la situazione delle donne musulmane e ricorre per questo ad un’amica giornalista e a lunghe ricerche personali. Decide, allora, di partire per Kabul, al seguito di un’associazione umanitaria di medici con l’intenzione di mettere la sua opera al servizio di gente che raramente può usufruire di chirurghi abili e poi per toccare con mano il problema delle donne “abusate, schiave, vittime che subiscono e non si ribellano”, ma Letizia pensa che le ragioni siano ben diverse.

Venditori di tappeti a Kabul, la città dove Eleonora decide di andare per svolgere una missione umanitaria (foto di Jana)

«Sia lei sia il figlio – è ancora il giudizio impietoso della psicoterapeuta – sono due squilibrati, due missionari a caccia del consenso l’uno dell’altro». A questo punto lo scoppio, il boato, la perdita di sensi e di coscienza sembrerebbero dovuti ad un attentato. In realtà, sono le farneticazioni di Eleonora, che pensa di essere a Kabul e invece si trova a Roma, amorevolmente assistita dal figlio e dal marito dopo un grave incidente automobilistico, che l’ha fatta dormire per tre giorni. È, come dice il titolo, il risveglio dal buio. Eleonora nel suo freudiano inconscio e attraverso le interpretazioni dell’amica psicologa, ha analizzato se stessa, i suoi rapporti familiari, le sue angosce e il suo dolore per il distacco del figlio, non più oggetto del suo possesso. Non nasconde il suo benestare nel mondo borghese, colto educato e perbenista, come quando al Caffè Florian di Venezia manifesta il suo orrore di fronte a una famigliola orientale: «Brutti tutti e tre con pantaloni corti e ciabatte, ma pieni di cellulari». Eppure sembra quasi volersene scusare.
È un racconto, come scrive il regista e attore Gabriele Lavia nella prefazione «di passioni, amori, disillusioni, dolori e il “tempo” che “passa”…..Attraverso una narrazione distaccata, lucida, quasi masochistica, ci troviamo dentro “una storia che ci riguarda”». È questo il vero punto di forza del romanzo: dare voce a sentimenti e pensieri che in certe situazioni di vita sono universali. La scrittura è semplice e chiara, anche se risente ogni tanto di un registro colloquiale («ti materializzasti a studio», «non sono capace a proteggerti», «esci fuori») quasi a sottolineare, forse, la quotidianità della vicenda. Abbondano, inoltre (come è frequente in molti narratori attuali) le domande retoriche, soprattutto in quei momenti di indecisione e ansia, relativi al comportamento da tenere con un figlio che, per la visione protettiva materna, ha imboccato una strada pericolosa.
Una narrazione gradevole e realistica, che invita alla riflessione sui non sempre facili rapporti familiari, in particolare su quelli genitore/figlio. Di fronte ad una mamma, come Eleonora, che non vuole essere estromessa dalla vita del suo unico figlio e che, per questo, si lancia in indagini segrete e perfino nella rischiosa “avventura” afghana.
Qualche lettore potrebbe chiedersi: «Non è che io sono così con mio figlio?».

Immagine di apertura: foto di Josep Monter Martinez

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Nata a Noci (Bari) sull’altopiano delle Murge, è laureata in Lettere Classiche all’università Cattolica di Milano, città dove ha poi sempre vissuto e insegnato nelle scuole medie e in quelle superiori. Ama viaggiare, cucinare, frequentare i concerti, ma soprattutto leggere. E’ "un'appassionata" di parole scritte, soprattutto sulla carta e non su kindle.

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