Milano 23 Gennaio 2021

Nel 2020, il premier socialista Pedro Sanchez ha salvato la democrazia spagnola. Vi sembra un’affermazione troppo enfatica? Seguitemi in questo percorso a tappe: da una parte la Spagna poteva scegliere l’autoritarismo, dall’altra la democrazia. Vedrete come, e chi, ha imboccato la direzione giusta.

Cortei indipendentisti a Barcellona, 3 0ttobre 2017 (foto di Andrea Nicastro)

1 ottobre 2017: la Catalogna tiene il suo referendum indipendentista. La Spagna che i catalani vogliono rinnegare è una nave che affonda, la crisi economica del 2008-2011 e la corruzione della classe politica hanno aperto falle spaventose. Persino il monarca che l’aveva protetta dai rigurgiti franchisti, Juan Carlos I, si nasconde dietro al figlio Felipe per sfuggire ai processi che stanno per piovergli addosso. I due partiti artefici della transizione pacifica dalla dittatura alla democrazia, Pp e Psoe, si frantumano. Ai loro lati sbocciano Podemos e Ciudadanos. L’indipendenza è per Barcellona la scialuppa di salvataggio. Lo strappo arriva il giorno del referendum illegale: si fa notte fonda per la giovane democrazia spagnola. Responsabili sono i leader secessionisti e il premier (Pp) Mariano Rajoy. Cadono i manganelli sulle teste di votanti pacifici, la polizia arresta i capi politici della sfida. Si torna a parlare di Guerra Civile tra democratici e autoritari.

Pedro Sanchez in una foto ufficiale del 2020. E’ Presidente del governo della Spagna dal 2 giugno 2018 e Segretario del Partito Socialista Operaio spagnolo (Psoe) di cui fa parte dal 1993. Nato a Madrid nel 1972, ha una laurea in Economia, è sposato e ha due figlie.

2 giugno 2018: Pedro Sanchez diventa primo ministro con una mozione di sfiducia nei confronti di Rajoy. L’oggetto non è Barcellona, ma la corruzione. È come arrestare Al Capone per evasione fiscale, ma funziona. Sanchez mette insieme una ciurma litigiosa (sinistra anticapitalista, indipendentisti, regionalisti, liberali), dice di voler dialogare con i secessionisti, ma non ha il potere di farlo. È il tutti contro tutti. I ribelli di Barcellona sono in esilio o in galera a soffiare su una piazza in fiamme. Il confronto politico degenera nell’insulto. Gli stessi che l’hanno eletto definiscono Sanchez “il peggior premier della democrazia”. Il socialista ha due opzioni. Costruire un asse della conservazione tra il suo Psoe e il Pp, oppure lasciare la parola agli elettori. La prospettiva è la “grande coalizione” alla tedesca. Ma la Spagna oltre a non essere l’Uganda (Rajoy dixit) non è neppure la placida Germania. Una Grosse Koalition metterebbe le ali all’estremismo. Sanchez sceglie il processo democratico. Le urne elettorali si aprono per due volte, in aprile e nel novembre del 2019, ma non basta. Non c’è più un partito egemone.

2 dicembre 2018: elezioni regionali in Andalusia. La provincia più spagnola di Spagna ha paura del secessionismo dei ricchi catalani. Nella terra dei tori e del flamenco, dei señoritos delle piantagioni e dei peones delle sovvenzioni pubbliche, fanno breccia i comizi incendiari di Santiago Abascal, leader di Vox. È lui che rispolvera il vocabolario del franchismo: patria, onore, famiglia, religione, ordine.

Santiago Abascal, leader di Vox, partito di estrema destra, in uno scatto del 2018. E’ nato a Bilbao nel 1976

È come se in Italia qualcuno volesse fermare i migranti “sul bagnasciuga” o ottenere “pieni poteri”. Abascal vorrebbe spezzare le reni a Barcellona. Il “feudo” socialista dell’Andalusia cede alla destra per la prima volta in 40 anni. Il Pp della transizione democratica si allea con i suoi critici liberali di Ciudadanos e con i nostalgici di Vox per formare il governo andaluso. L’estrema destra è sdoganata senza revisionismi, il discorso di Vox resta esplicitamente alternativo ai valori democratici. È una scelta. L’ha presa Pablo Casado, nuovo leader del Pp.

7 gennaio 2020: nasce il “governo Frankenstein” con Pedro Sanchez nei panni dello scienziato pazzo. Si tratta del primo governo di coalizione dal ritorno della democrazia. Lo compongono socialisti e sinistra-femminista di Unidas Podemos. Dopo due elezioni generali nel solo 2019, dopo l’irruzione di Vox anche in Parlamento, i due partiti capiscono che il rischio di una coalizione di destre in stile andaluso è dietro l’angolo. Trattano, mediano, arrivano al compromesso. Sanchez apre un dialogo con gli indipendentisti catalani, promette (in segreto) la scarcerazione dei loro leader. Unidas Podemos fa la sua parte: pungola, ma non rompe. Resta allineata al moderatismo di Sanchez. L’uno e gli altri hanno scelto la democrazia. Avere in coalizione un partito repubblicano come Unidas Podemos aiuta Sanchez anche quando l’ex re Juan Carlos si trova sotto accusa per evasione fiscale e corruzione. Sanchez lascia che l’ex monarca scappi all’estero, ma Unidas Podemos non ne pretende subito il ritorno. Nel pieno della pandemia non c’è bisogno di esasperare gli animi.

2019: scritta franchista a Madrid dopo il comizio di Vox (foto di Andrea Nicastro)

22 ottobre 2020: fallisce la mozione di censura nei confronti di Sanchez promossa da Santiago Abascal, leader di Vox. Non è una vittoria per Sanchez, ma un trionfo. Contro di lui votano solo i 52 deputati neofranchisti. Il discorso più significativo lo pronuncia Pablo Casado, lo stesso che aveva accettato i voti di Vox per governare l’Andalusia. Alle 11:35 Casado annuncia: “O Spagna o Vox”. La destra eversiva è isolata. Il Pp riprende il suo cammino di opposizione democratica.

Forse è troppo presto per dire che la democrazia spagnola è salva. Come dimostra l’assalto a Capitol Hill a Washington, nessuna mai lo è per sempre. Però Sanchez (più i migliori leader della sinistra anticapitalista, dell’indipendentismo catalano e della destra costituzionale) ha superato le secche dei terribili Anni Dieci del XXI secolo. A febbraio ci saranno le elezioni regionali in Catalogna. Vincesse un tripartito formato da catalanisti, socialisti e sinistra, invece dell’indipendenza si tornerebbe finalmente a chiedere più autonomia. La strada è lunga, ma la democrazia spagnola è viva.

L’articolo è tratto da un saggio scritto da Andrea Nicastro per la Rassegna Stampa riservata agli abbonati dell’edizione Digital del Corriere della Sera

Immagine di apertura: un manifesto elettorale del 2019 (foto di Andrea Nicastro)

Giornalista, Inviato del “Corriere della Sera” e scrittore. Milanese, dopo la laurea in Storia Contemporanea alla Statale di Milano, ha compiuto studi in massmediologia e relazioni internazionali negli Stati Uniti. Esperto di Medio Oriente, ex Unione Sovietica e mondo ispanofono, è stato il primo italiano ad entrare nella Kabul liberata dai talebani (2001) e l’unico a documentare la cattura di Saddam Hussein (2003). Fino al 2010 ha viaggiato tra Afghanistan, Iraq, Iran e Libano per raccontarne le guerre e le rivolte. Dal 2011 al 2015 è stato corrispondente da Madrid per il suo giornale. Ha realizzato reportage sul business internazionale dei trapianti di organi e di cellule staminali; raccontato la rotta dei migranti dal Pakistan all’Italia. Autore di “Nassiriya, bugie tra pace e guerra” (Editori Riuniti 2006), ha scritto e interpretato lo spettacolo “Gli Altri, storie di burqa, amore e rabbia nel secolo del Jihad” (Teatro Officina, 2019). Con Rubbettino ha appena pubblicato "Gli altri siamo noi. Perché tradire la democrazia scatena il Jihad" (2021)

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