Milano 27 Marzo 2023
Aiutiamo le donne iraniane, vittime di soprusi e violenze, sosteniamo la rivoluzione dei giovani contro gli ayatollah: incitamenti quotidiani che ci giungono dopo la tragica fine di Masha Amini, la ventiduenne picchiata e arrestata nel settembre scorso perché non indossava correttamente il velo. Una morte che ha portato a rivolte inarrestabili, nonostante la feroce repressione delle guardie religiose e acceso l’attenzione del mondo per la drammatica situazione socio-politica iraniana.

Un rilevante – seppure indiretto – contributo alla lotta delle donne viene da un’appassionante storia d’amore, narrata dalla scrittrice Marjan Kamali, nata in Turchia da genitori iraniani, con La ragazza di Teheran appena pubblicato in Italia da Libreria Pienogiorno. Il romanzo ci porta nell’Iran del 1953, anno del golpe ordito dalla CIA ai danni del primo ministro Mohammad Mossadeq che con la nazionalizzazione del petrolio e l’alleanza con i religiosi aveva avviato una transizione democratica. Nel Paese regnava lo Scià Reza Pahlavi, accusato di un sistema politico vessatorio e troppo filoamericano, che inizialmente difese la nazionalizzazione del petrolio, ma poi appoggiò il golpe sotto il ricatto di essere destituito. Si trattò della cosiddetta operazione Ajax, una missione coperta da segreto, promossa dal Regno Unito per recuperare il controllo dei giacimenti petroliferi iraniani e dagli Stati Uniti che temevano l’influenza sovietica.
In quel colpo di stato, secondo l’autrice, intervistata da Il fatto Quotidiano nel febbraio scorso, si annidano le radici dell’odierna condizione iraniana. Fu quell’evento, di cui poco oggi si parla a livello internazionale, che cambiò l’Iran, che «provocò nei giovani iraniani una perdita che ancora perdura: perdita dell’innocenza, dell’idealismo, della fiducia nelle potenze straniere e, per molti versi, perdita dell’intero Paese……. E che spianò la strada alla rivoluzione del 1979. L’attuale situazione è il risultato di tutti i traumi seguiti a quella rivoluzione».

La vicenda narrata dal romanzo inizia quando la protagonista, Roya, ha ormai settant’anni, è cittadina americana e vive nel New England con la famiglia. Un caso del destino la riporta a Teheran, sua città natale e all’anno 1953, quando incominciò la sua meravigliosa storia d’amore con Bahman, attivista del Fronte nazionale, organismo creato da Mossadeq per la propaganda contro lo Scià. I due giovani diciassettenni si incontrano e, accomunati dalla passione per la poesia, si innamorano; il tutto avviene in una libreria, gestita da Fakhri, intellettuale aperto, appassionato di libri che «teneva gli scaffali ben forniti di classici e poeti iraniani e di traduzioni di letteratura di tutto il mondo». Segretamente il libraio fiancheggia la lotta contro lo Scià e fornisce materiale clandestino a Bahman.
Attraverso questa storia d’amore e di lotta, si snoda la vita e la cultura iraniana dell’epoca. In quegli anni i giovani erano liberi di studiare, di scegliere il proprio abbigliamento, di incontrarsi, di frequentare cinema e feste.

I genitori di Roya volevano che le figlie fossero colte, libere e destinate ad un futuro di successo, magari come scienziate. Ma le rigide regole e tradizioni, come la classe sociale di appartenenza e i matrimoni imposti, condizionavano i destini. Allora come oggi…
«Le persone sono intrappolate nella loro classe sociale – dice Bahman dopo la visione del film Ladri di biciclette di Vittorio De Sica – ma noi possiamo cambiare questo con la democrazia». A quell’epoca era difficile anche opporsi ai matrimoni combinati, che consentivano ai genitori di scegliere futuri coniugi fin dalla più tenera età. Bahman e Roya rompono questi schemi e si fidanzano, ma vengono ostacolati dalla madre di lui, che, anche a causa di una malattia mentale, tramerà contro di loro. I due ragazzi decidono di sposarsi in segreto e si danno appuntamento in una piazza, ma, proprio quel giorno, Teheran sarà scossa dalle violente sommosse che provocheranno il golpe contro Mossadeq e Roya, travolta dalla confusione e dai tumulti, assisterà alla morte di Fakhri e aspetterà invano l’arrivo di Bahman.

Le vite dei due innamorati prenderanno strade diverse, ma il loro amore rimarrà immutato e riesploderà, intatto come prima, sessant’anni dopo, al declino ormai delle loro esistenze. «Era successo qualcosa quando erano giovanissimi, qualcosa di inspiegabile e irreversibile. Erano legati l’uno all’altro da un vincolo impossibile da sciogliere». L’autrice afferma che con il suo romanzo ha voluto mostrare ai lettori «le gioie, le pene, gli amori, i sogni, le paure di due ragazzi e, in fondo, di tutte le donne e i ragazzi di Teheran». L’amore nelle sue varie accezioni pervade tutta la storia. Quello familiare è ben rappresentato dai genitori di Roya che, avendo a cuore il destino e la sicurezza delle due figlie, le invogliano ad accettare una borsa di studio per andare a studiare in America, privandosi della loro vicinanza. Ma anche in California, dove Roya e la sorella studieranno e si ricostruiranno una vita, basterà il profumo dello zafferano a risvegliare in loro il legame e la nostalgia della propria terra, mai dimenticata, ma, ahimè, mai più raggiunta nonostante i propositi iniziali.
Grande valore, che traspare da tutte le pagine, è quello della cultura. «L’Iran ha una lunga e ricca storia letteraria. Poeti come Rumi, Saadi, Hfez sono stati venerati per secoli e molti iraniani sanno a memoria i loro versi…. L’ondata di proteste nella storia iraniana negli ultimi decenni è sempre iniziata nelle università. Ma questa volta anche fra studenti di scuole superiori e medie» (ancora dall’intervista a Il Fatto Quotidiano).

La letteratura – è anche il messaggio del libro – apre le menti ed alimenta desideri di libertà e indipendenza. Ma la storia è, soprattutto, un “inno alla caparbia forza dell’amore delle donne” e un modo per ricordarci quanto lunga è stata, ed è ancora, la lotta affrontata dal Paese persiano per la democrazia. Romanzo ben strutturato, che intreccia in modo semplice e chiaro la vita delle persone comuni con la storia di una nazione. I protagonisti sono giovani idealisti, pieni di speranze, rispettosi per l’altro e per questo si fanno amare dal lettore. La trama ha qualche pecca narrativa: i genitori di Roya, per esempio, durante la diaspora americana delle figlie, scompaiono, di loro non si sa più niente. Un po’ ingenuo si rivela anche l’espediente – davvero romanzesco – del ritrovamento (da parte di Roya) di Bahman, ormai vecchio e malato, attraverso una libreria, gestita da suo figlio (finito a sua volta negli Usa, non si sa come…) situata proprio nella città del New England dove vive Roya.
La lettura risulta avvincente e spesso anche commovente. Grande merito del libro è l’aver richiamato l’attenzione su quel fatidico 1953 (ingiustamente dimenticato), ma anche aver contribuito a sostenere la lotta attuale contro il regime. Pur nei suoi limiti, il romanzo resta un inno al coraggio e alla caparbietà delle donne iraniane.
Immagine di apertura: la torre Azadi, uno dei simboli di Teheran che segna l’ingresso alla città. Fu fatta costruire nel 1971 dall’ultimo Scià Reza Pahlavi per celebrare il 2500° anniversario delle fondazione dell’Impero achemenide da parte di Ciro il Grande (foto di Javad Esmaeili)