Milano 27 Giugno 2023
Anche l’Italia avrà il suo Fondo sovrano? L’annuncio del governo è di poche settimane fa e ora si attendono i dettagli dell’operazione. Il provvedimento è stato inserito nel disegno di legge sul Made in Italy e, come ha spiegato il ministro Adolfo Urso, Ministro dello Sviluppo e del Made in Italy, avrà una dotazione iniziale di un miliardo di euro. Tra i suoi obiettivi c’è soprattutto quello di “attrarre capitali esteri disposti a investire in Italia”.
Per la verità qualcosa di simile esiste già nel nostro Paese: si chiama Cdp Equity. Nato nel 2011 come Fondo Strategico Italiano, ha assunto l’attuale denominazione nel 2016. Dotato di un patrimonio di 9,7 miliardi di euro, finora ha investito in diverse società, da Ansaldo Energia a Sia, da Euronext (la piattaforma europea che ge-stisce le Borse valori) a Open Fiber. Il nuovo Fondo, tuttavia, si caratterizza per un obiettivo altrettanto ambizioso: quello di “stanare” la ricchezza delle famiglie italiane, spesso “dormiente” nei conti correnti bancari, per canalizzarla verso le attività produttive.
Sotto questo aspetto il nuovo organismo rappresenta qualcosa di diverso dai fondi governativi (molti dei quali assai ricchi e influenti) esistenti nel mondo. Negli altri Paesi, infatti, la nascita di un Fondo Sovrano è quasi sempre legata all’esigenza di investire i proventi della vendita di petrolio o di altre materie prime. Non a caso, in assoluto il più importante è quello norvegese, che gestisce un patrimonio di ben 1.400 miliardi di dollari, tutti provenienti dalla vendita di petrolio e gas naturale. Il suo attuale portafoglio contiene anche quote di grandi aziende italiane quotate in Borsa. Al secondo posto nel mondo troviamo il China Investment Corporation, il cui patrimonio gestito è di poco inferiore: ammonta infatti a 1.222,3 miliardi di dollari. Tutti gli altri dispongono di risorse al di sotto dei mille miliardi di dollari e gran parte dei loro proventi provengono dal petrolio. È il caso del Kuwait Investment e dell’Abu Dhabi Investment, dotati rispettivamente di 738 e 698 miliardi di dollari. Per non parlare di quelli di Hong Kong e di Singapore (che valgono rispettivamente 586 miliardi di dollari e 485 miliardi di dollari) finanziati entrambi con le eccedenze fiscali delle due città-stato asiatiche.
Di fronte a un tale fiume di denaro, il miliardo di euro assegnato al nascente Fondo Sovrano italiano appare ben poca cosa. Ma, come è stato già accennato, quello che sta per nascere in Italia è qualcosa di diverso. Più che gestire eccedenze finanziarie (che non ci sono), dovrà pensare a come agevolare l’approvvigionamento di materie prime, con l’obiettivo di limitare sempre di più la dipendenza dall’estero. Potrebbe inoltre contribuire alla transizione ecologica e digitale. Tutto questo si tradurrà in iniziative di spesa, da gestire tra l’altro con molta attenzione per evitare di violare da un lato la normativa europea sugli aiuti di Stato e dall’altro impedire che alla fine il tutto si traduca nell’ennesima pratica tutta italiana di distribuire fondi aumentando così il già enorme debito pubblico.
Il vero problema sarà allora come alimentare il Fondo. Non basteranno, almeno all’inizio, gli attesi investimenti esteri. Che sulla carta ci sarebbero pure, a patto che si trovi il modo di sfruttare le potenzialità del brand Made in Italy, al terzo posto nel mondo dopo Coca Cola e Mastercard. Per quanto riguarda gli investitori italiani (provenienti dal sempre più evocato risparmio delle famiglie che sarebbe in questo modo dirottato verso le aziende) il meccanismo di acquisizione è ancora avvolto nell’incertezza. Come si potrà convincere i titolari di questa ricchezza che esiste ma rimane congelata? Quale sarà, in altre parole, l’incentivo studiato dal governo per convincere i risparmiatori ad aderire alla proposta?
Una prima ipotesi è quella legata allo strumento fiscale. Nella bozza di progetto dell’esecutivo si legge infatti che al Fondo potranno affluire “le disponibilità liquide dei contribuenti che intendano investire i loro risparmi usufruendo dei benefici fiscali” già previsti per i Pir (Piani individuali di risparmio): vale a dire l’esenzione fiscale della durata di cinque anni per chi contribuirà con versamenti fino a un massimo di 150 mila euro. Somme che dovrebbero aggiungersi a quelle “ulteriori risorse provenienti da investitori non solo italiani ma anche esteri”, più volte ricordato lo stesso Ministro dello Sviluppo Adolfo Urso.
In conclusione, la strada (per la verità già avviata) per arrivare alla realizzazione di un Fondo sovrano italiano è irta di difficoltà. C’è la volontà di arrivare al traguardo, ma sono ancora troppe le incognite. L’auspicio è che alla fine possa nascere uno strumento utile al Paese. E che sia davvero un Fondo italiano. Non “all’italiana”.
Immagine di apertura: La Norvegia ha il fondo sovrano più ricco del mondo (foto di Jiulien Tromeur)