Roma 27 Settembre 2023
In pieno agosto 2023, un miliardo e mezzo di indiani esultava per un’impresa spaziale senza precedenti. Per la prima volta una navicella senza uomini a bordo aveva compiuto un atterraggio morbido nel Polo Sud della Luna, sguinzagliando sul terreno un rover con il compito di raccogliere le prove dell’esistenza di ghiacci d’acqua nei crateri perennemente in ombra di quelle regioni inesplorate. Chandraayan (veicolo lunare) il nome della navicella; Vikram (valoroso) quello del lander, e Pragyan (speranza) quello del rover a sei ruote. Un successo amplificato dal fatto che, pochi giorni prima, Luna 26, un’analoga navicella automatica russa, aveva fallito l’atterraggio morbido schiantandosi sul nostro satellite naturale.

La missione lunare indiana era programmata per durare meno di due settimane, dal 23 agosto al 3 settembre, quando in quella parte della Luna sarebbe tramontato il Sole e le temperature crollate da 150 gradi centigradi sopra lo zero a 200 sotto: un’escursione termica letale per le apparecchiature elettroniche della navicella. Il lungo giorno lunare è trascorso senza intoppi, hanno riferito i portavoce di ISRO, l’agenzia spaziale indiana. Sia lander che rover hanno svolto i compiti assegnati e raccolto un’abbondante messe di dati la cui analisi impegnerà per molto tempo i ricercatori. Entro qualche mese dovremmo sapere se le gelide regioni sud-polari della Luna potranno rifornire di acqua e quindi di ossigeno le future stazioni permanenti abitate dall’uomo che si progetta di realizzare nel nostro algido satellite naturale a partire dal prossimo decennio.
Galvanizzati dal successo ottenuto, i tecnici di ISRO hanno osato l’impossibile. Prima che calasse la notte lunare hanno messo in standby i sistemi elettronici per tentare di riattivarli all’alba del nuovo giorno, il 22 settembre successivo. Ma i ripetuti tentativi di risvegliare Vikram e Pragyan non hanno funzionato, almeno fino a quando scriviamo questo articolo. L’ibernazione, come d’altra parte era prevedibile, sembra aver causato danni irreversibili.

A prima vista potrebbe sembrare che il successo dell’allunaggio indiano sia il frutto di un impegno recente, ma in realtà il programma lunare Chandraayan ha più di quindici anni di vita. Il primo veicolo della serie, Chandraayan 1, fu lanciato nell’ottobre del 2008, un mese dopo entrò in orbita lunare e, dopo aver compiuto rilevamenti fotografici e di vari parametri fisici, andò a schiantarsi sul suolo del nostro satellite poiché non era previsto un allunaggio morbido. Questo delicato compito era stato assegnato alla navicella Chandrayaan 2 che, a causa di un guasto al software, si infranse sulla Luna nell’estate del 2019. Con Chandraayan 3, terza navicella della serie, l’India ha dimostrato di avere compiuto un salto di qualità nell’esplorazione automatica dello spazio, raggiungendo un obiettivo che finora è stato centrato, non senza numerosi incidenti di percorso, da Russia, Stati Uniti e Cina. Inevitabile chiedersi quanto tempo ci vorrà per assistere al ritorno sulla Luna di esseri umani. Difficile credere a quanto promettono le varie agenzie spaziali perché la ripresa delle missioni lunari con astronauti a bordo è stato un obiettivo più volte annunciato e altrettante volte rinviato.

Nel lontano 1969, sull’onda dell’entusiasmo suscitato dal successo della missione lunare Apollo 11 che aveva portato i primi due uomini sulla Luna, la rivista Time pubblicò un’intervista in cui lo scienziato missilistico Wernher von Braun si lasciava andare ad alcune ottimistiche previsioni sulle successive tappe dell’esplorazione spaziale: una base lunare abitabile e lo sbarco dell’uomo su Marte :«as early as 1982». Von Braun era uno degli scienziati tedeschi artefici dei razzi V-2 che si erano consegnati all’esercito americano negli ultimi mesi del conflitto. Accolto in America, dopo un breve periodo di isolamento, era stato riconosciuto come uno dei massimi esperti di ingegneria missilistica e impiegato nei programmi di sviluppo dei razzi vettori necessari ad affrontare la competizione spaziale con l’URSS. È storia ben nota che la rimonta degli Stati Uniti sul vantaggio inizialmente conquistato dai sovietici sia stato merito di von Braun, del suo efficiente staff, e delle politiche dei presidenti Kennedy e immediati successori che assicurarono i finanziamenti necessari per quelle costosissime imprese.

Quanto alle previsioni di von Braun non solo si sono rivelate avventate, ma sono state smentite da un progressivo ridimensionamento dei progetti di esplorazione umana dello spazio. Infatti, nel 1972, dopo sei missioni che portarono 12 astronauti sulla Luna, il programma Apollo fu chiuso anticipatamente. Da allora nessun altro uomo è tornato sul nostro satellite. Prima i problemi di bilancio e poi la fine della competizione spaziale fra le due superpotenze hanno decretato l’accantonamento dei sogni di espansione dell’uomo sui corpi vicini del sistema solare.
A partire dagli anni Novanta c’è stato un cambio di strategia: le missioni lunari sono state rilanciate in forma completamente automatizzata, senza uomini a bordo. Questa volta fra i protagonisti, oltre agli Stati Uniti, bisogna annoverare anche altri Paesi industrializzati e alcuni emergenti come Cina e India. L’America è tornata sulla Luna alla fine secolo scorso con le sonde orbitanti Clementine (1994) e Lunar Prospector (1998-99), che hanno sviluppato ricerche di geologia e geofisica. Dopo un decennio di stasi, il Lunar Reconnaissance Orbiter (2009), ha ripreso questi studi, contribuendo alla realizzazione di una cartografia tematica preziosa per i futuri programmi di colonizzazione della Luna.
Il Giappone ha collocato i due orbiter Hiten (1990) e Selene (2007) attorno a Luna, per fare imaging ad alta risoluzione e per spianare la strada a future missioni lunari. L’Agenzia Spaziale Europea, con la sonda a basso costo Smart (2003), ha mappato la superficie lunare in varie lunghezze d’onda. La Cina ha avviato la serie dei robot lunari Chang’e, impiegati con successo come orbiter (2007, 2010) e poi come lander e rover (2013), conseguendo due notevoli risultati: l’allunaggio nella faccia opposta (Chang’e 4, 2019) e il prelievo con ritorno a Terra di quasi 2 kg di campioni lunari (Chang’e 5, 2020). E poco dopo, come abbiamo già visto, anche l’India si è impegnata in un programma analogo a quello cinese con le sonde Chandraayan.

La Russia, che fu la prima potenza spaziale a raggiungere la Luna con navicelle spaziali nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, dopo un lungo periodo di disimpegno, sembra voler riprendere con maggior vigore le esplorazioni automatiche, ma l’ultimo tentativo è stato un clamoroso flop. Ripercorrendo la storia dell’esplorazione lunare emerge una costante che coinvolge quasi tutti i protagonisti citati: i programmi sono stati a più riprese annunciati e rinviati, alcuni soppressi, segno che la crisi economica mondiale non ha risparmiato nemmeno questo settore dell’esplorazione spaziale. Ora, i programmi di tutti i Paesi interessati alla Luna si sono infittiti e mostrano una strategia comune: lo studio dell’ambiente lunare finalizzato alla realizzazione di una prima base permanente, che potrebbe essere attuata verso la metà del nostro secolo e che, in maniera simile a quanto oggi succede con la Stazione Spaziale Internazionale posta in orbita attorno alla Terra, vedrebbe alternarsi equipaggi umani intenti a ricerche e osservazioni. Più che a precari shelter realizzati sulla superficie lunare, ora si guarda all’insediamento di basi in cavità naturali come i grandi tunnel di lava che abbondano in alcune regioni. Una di queste aree, chiamata Marius Hills dal nome dell’omonimo cratere di 40 km di diametro, si trova nell’Oceanus Procellarum, ed è oggetto di studi approfonditi sia da parte degli Stati Uniti che del Giappone perché sembra offrire una molteplicità di ingrottamenti adatti a ospitare una base permanente.

Un altro obiettivo comune alle attuali missioni consiste nella ricerca di ghiacci di acqua che, secondo diversi indizi raccolti dalle sonde orbitanti, potrebbero trovarsi all’interno di crateri e cavità mai lambiti dai raggi solari, eredità di remoti impatti cometari e asteroidali. La scoperta di abbondanti risorse d’acqua darebbe una netta accelerazione ai progetti di insediamenti umani.
Piuttosto incerto appare il calendario, più volte modificato, che dovrebbe riportare gli astronauti sulla Luna. La NASA, ai tempi della presidenza Trump, fissava al 2024 il prossimo sbarco con il progetto Artemis. Anche l’agenzia spaziale europea e quella giapponese Jaxa si prefiggevano di raggiungere questo traguardo nel corso del decennio 2020; la Russia attorno al 2030. Gli Stati Uniti premono per un progetto da realizzare attraverso una collaborazione internazionale e il coinvolgimento di partner commerciali, in modo analogo a quanto si è fatto con la Stazione Spaziale Internazionale. E proprio questo è il proposito di Artemis, che ha come capofila la NASA e, fra i partner privilegiati, l’ESA (l’Agenzia Spaziale Europea). Fra gli obiettivi di Artemis, oltre all’esplorazione diretta delle regioni del Polo Sud lunare, anche lo sbarco della prima donna sulla Luna. Ma ormai è certo che il volo di esordio del progetto, programmato per il 2024, subirà qualche anno di rinvio.
Immagine di apertura: fonte: Repubblica.it