Milano 23 Novembre 2020
«Accessi differenziati ai luoghi di lavoro e alle scuole. Utilizzo dei bus turistici. Riduzione o eliminazione dell’autonomia dei capi istituto, coordinamento di tutti i soggetti interessati alla mobilità, magari sotto un commissario, o il Prefetto. E soprattutto avvio della creazione di un nuovo ecosistema intorno al trasporto pubblico locale. Non ci si è resi conto che niente sarà più come prima. E si sono persi sei mesi».

L’analisi e le proposte sono di uno che di trasporti locali se ne intende: Luciano Niccolai, 71 anni, toscano di Piombino, che da quarant’anni viaggia e lavora “con trasporto” nel trasporto. Già direttore dell’azienda di Firenze, di Roma, collaboratore con diverse Province (Pistoia, Livorno, Sondrio), Niccolai è consulente dell’azienda di Trasporto della Toscana meridionale. Accetta di guidarci sulla strada tortuosa della mobilità locale nel tempo della pandemia. Con una massa di studenti e lavoratori tenuti a casa in molte regioni (rosse o arancioni o gialle che siano), aleggiano gli interrogativi: come si tornerà in classe e in azienda? La lezione è stata imparata? O alla ripartenza saremo ancora impreparati? Già in aprile un rapporto, firmato da Silvio Brusaferro dell’Istituto Superiore di Sanità e Sergio Iavicoli dell’Inail, recitava: «Emerge una criticità soprattutto per le aree metropolitane (Roma, Milano, Torino, Venezia-Mestre e Genova) relativa alla mobilità nelle ore di punta». Servono «misure organizzative e di prevenzione». Invece, (pura coincidenza?) è accaduto che le infezioni siano schizzate alle stelle con l’uso dei mezzi pubblici dopo il lockdown. A metà ottobre il ministro della Salute Roberto Speranza, in una relazione alla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza dichiarava: «Quello del trasporto pubblico urbano è un tema vero. La mia opinione è che dobbiamo provare a lavorare su due ambiti: favorire lo smart working e incentivare le differenziazioni di accesso negli uffici pubblici e nelle scuole». Più recentemente lo stesso Presidente del Consiglio ha riconosciuto: «Beh sì, negli spostamenti qualche defaillance c’è stata…».

Non era difficile accorgersene: bastava vedere l’affollamento, la ressa fino al 6 novembre, quando la capienza dei mezzi è stata portata dall’80 per cento al 50. Con qualche effetto surreale, come è successo a Brindisi: per rispettare il limite del 50 per cento sui bus sono stati eliminati i posti davanti; dietro però ognuno si è potuto sedere dove e come voleva. A Campobasso (Molise) solo il 30 ottobre il gruppo consiliare del Pd in Consiglio regionale ha presentato all’assessore ai Trasporti un’interrogazione per la “definizione e attivazione del piano di gestione dei trasporti locali in sicurezza”. E prima dove erano?
Intendiamoci. Qualche provvedimento virtuoso è stato preso. A Brescia, la Prefettura ha messo in campo 8 Web team, chiamando intorno a un tavolo telematico Enti locali, settori produttivi, Ufficio scolastico territoriale (Ust), Agenzia del Trasporto pubblico. Idem in Toscana: la Regione si è coordinata con la Direzione didattica regionale, con gli operatori economici e le loro associazioni di categoria. E ha confermato fino a fine anno 200 bus aggiuntivi. L’Emilia Romagna ha aperto un tavolo di monitoraggio con Aziende e Agenzie Tpl, e ha reperito 80 bus privati.

A Milano l’Atm ha affittato bus-shuttle con il logo Flixbus o Airpullman. Il Governo con il Decreto Ristori bis (8 novembre) ha stanziato altri 300 milioni di euro per le imprese del Trasporto pubblico locale. Ma verranno utilizzati?
«I soldi non sono tutto. Il lockdown dovrebbe essere sfruttato – commenta Niccolai – per lo studio, il monitoraggio, l’ampliamento delle conoscenze che consentano di ripartire in sicurezza. Ma non vedo in giro un tale impegno. Eppure gli strumenti ci sarebbero: che fine hanno fatto i mobility manager? E i piani urbani della mobilità sostenibile? Mi prudono le mani nel notare come non si abbia una visione di lunga data e come alcuni ostacoli sembrino insormontabili»
Ad esempio? «Prendiamo la scuola, che deve essere la priorità assoluta. Si può sapere tutto: quanti sono i ragazzi, da dove, come e quando arrivano. Ma è mai possibile che grazie alla intoccabile autonomia scolastica, i presidi avvisino le autorità o le società di trasporto all’ultimo momento? Quasi essi non fossero parte del sistema». Ma allora, come affermava Bartali: “gli è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”? «Tutto, no. Tanto, sì – prosegue l’esperto -. Il trasporto pubblico è essenziale come la Sanità e la scuola, ma si procede senza la consapevolezza che l’integrazione fa la forza e che nulla sarà come prima. Fino a ieri i manager erano bravi per quante più persone ammassavano. Abbiamo sfidato l’impenetrabilità dei corpi. Tutti ricordiamo i buttadentro delle metropolitane giapponesi! Non più…».
E allora? «Per il trasporto extraurbano, vedrei un accorpamento di Istruzione e Trasporti. Per le aree metropolitane mi spingerei all’istituzione di un potere commissariale. In ogni caso sono indispensabili la condivisione delle informazioni che è necessario raccogliere, la programmazione e la concertazione fra tutti gli attori in campo. Altrimenti…»
Altrimenti, si dovrà dare ragione a Gino Bartali.
Immagine di apertura: foto di cromagnon 13