Milano 27 Febbraio 2023

«Avevo un posto fisso, sicuro, in una grande e famosa azienda. Il lavoro mi piaceva, ma toglieva il respiro. Orari disumani. Atteggiamenti padronali inconcepibili. Ho resistito per 2 anni. Tante promesse di avanzamento, di valorizzazione, tutte disattese. Mi sono sentito preso in giro. Sono scappato. Per 200 euro in più al mese, ma soprattutto per un ambiente più dignitoso e una vita umana». Così racconta Roberto, 27 anni, laurea in Agraria.

Un’immagine che ben rende lo stress a cui si può arrivare sul luogo di lavoro (foto di muntazar mansory)

«Cinque anni al Politecnico di Milano mi hanno permesso di trovare subito un impiego in una importante società informatica. A 1400 euro al mese. Ambiente asfittico e poco gratificante. Dopo appena 6 mesi ho detto byby e mi sono trasferito all’estero. Un altro mondo, un altro vivere. L’Italia? Solo per le vacanze». È l’esperienza di Riccardo, 28 anni, ingegnere informatico. Via dal lavoro, via dall’Italia. Fuga per la ricerca di un posto migliore, e/o di una terra meno avara e meno amara.
Secondo l’Osservatorio mercato del lavoro, nella città metropolitana di Milano, negli ultimi 2 anni, si sono dimessi almeno in 200mila. Nelle Marche, nello stesso periodo, hanno abbandonato l’impiego in 75mila. Stando ai dati del Ministero del Lavoro, negli ultimi 9 mesi del 2022 hanno lasciato il lavoro 1.600.000 persone, in aumento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2021, quando erano state 1.3600 milioni.

Le dimissioni dal posto di lavoro hanno avuto un incremento significativo nel 2022. Si va in cerca di migliori opportunità (Foto di Gerd Altmann)

Nel mondo anglosassone il fenomeno dell’esodo volontario post-pandemia è stato ribattezzato Great resignation dal professor Anthony Klotz dell’University College London’s School of Management.  In Italia, secondo il malvezzo di scopiazzare yankee e british, è stato subito ribattezzato Grandi dimissioni, alludendo, appunto, al numero di coloro che hanno deciso di mollare il posto (fisso o mobile) dopo l’ondata del Covid 19. Se ne parla come fuga di massa, anche se, forse, tale non è stata. Recentemente, dopo il rilancio sensazionalistico dei non freschissimi dati del Ministero del Lavoro sopra citati, c’è stato un diluvio di studi, commenti, analisi per cercare di capirne le ragioni.

Per tutti basti citare un working paper di Renato Brunetta e Michele Tiraboschi, dal titolo Grande dimissione: fuga dal lavoro o narrazione emotiva? Qualche riflessione su letteratura, dati e tendenze. Ma davvero un’ondata di dimissioni, spesso senza paracadute, ha travolto, o sta travolgendo, il panorama economico-lavorativo italiano? Chiarisce subito Francesco Seghezzi,  Presidente della Fondazione Adapt: «Le dimissioni ci sono sempre state: non assistiamo ad un’esplosione improvvisa come se prima fossero a zero.  Poi i numeri in assoluto non sono pazzeschi. Nel terzo trimestre del 2022 i dati sono di una crescita del 6,6 per cento, ovvero 35 mila unità».

Francesco Seghezzi, qui in una immagine recente, è un esperto di dinamiche occupazionali nel mercato del lavoro, con particolare attenzione alla fascia giovanile (fonte: Twitter)

Seghezzi è un esperto in materia: la fondazione da lui presieduta fa parte dell’Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni industriali fondata nel 2000 da Marco Biagi, il giuslavorista bolognese assassinato 2 anni dopo dalle Nuove Brigate Rosse. «Il punto interessante – osserva Seghezzi – è la crescita costante, graduale di questi numeri. Il che significa che non si tratta solo di un rimbalzo post pandemia. Dopo il Covid e il rallentamento del mondo del lavoro, si è creata una consapevolezza diversa. Si è sviluppata una nuova sensibilità che mira sì a un salario migliore, ma anche a condizioni lavorative più soddisfacenti».
Secondo il centro ricerche AIDP (Associazione italiana direzione del personale), guidato dal professo Umberto Frigelli, sono tre le ragioni principali della crescita delle dimissioni: la ripresa del mercato del lavoro, la ricerca di condizioni economiche più favorevoli in altra azienda e l’aspirazione ad un maggior equilibrio tra vita privata e lavorativa. Seguono la ricerca di maggiori opportunità di carriera, ma anche di un nuovo senso di vita e, da non sottovalutare, il clima negativo in cui si vive all’interno dell’azienda.
In parole povere, sintetizza Seghezzi: «C’è una certa disaffezione a un modello di lavoro, che richiedeva molto dalle persone senza dare tanto in cambio».
D’altra parte, il lavoro non manca. Un recentissimo rapporto di Confartigianato parla di “emergenza manodopera”. Nel 2022 le piccole imprese hanno avuto difficoltà a reperire 1.406.440 lavoratori, pari al 42,7 per cento delle assunzioni previste. Mancano all’appello soprattutto tecnici informatici, progettisti di software, ma anche autisti di camion, operai edili, elettricisti, meccanici, idraulici, meccanici per auto.

Nella provincia di Lodi nel 2019 sono stati 5.045 i giovani (e meno giovani) che si sono trasferiti all’estero; ora sono 6784, con una crescita del 34,47 per cento in 4 anni. Numeri stupefacenti (foto: The Digital Way)

Quanto alla partenza dal patrio suolo per atterrare oltre confine, più che una fuga sembra un esodo. I dati certificati dell’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero, (Aire), non lasciano dubbi: gli iscritti nel 2006 erano 3 milioni e 106mila. Ora sono 5.933.418. Quasi un decimo della popolazione residente in Italia. Secondo la sociologa e ricercatrice sociale Delfina Licata, responsabile del dossier annuale Italiani nel mondo, l’incertezza causata dalla pandemia avrebbe in parte frenato i trasferimenti definitivi oltre confine (che portano, fra l’altro, alla perdita dell’assistenza sanitaria). Eppure, nonostante il rallentamento post Covid, la fuga dal Bel Paese tra gennaio e dicembre 2022 ha coinvolto 127.350 persone. In Lombardia, lascia stupefatti la provincia di Mantova. Gli emigrati oltralpe provenienti da questo territorio sono passati dai 28.734 del 1° gennaio 2019 ai 40.325 del 1°gennaio 2023 (+40,3 per cento). Ma anche Lodi non scherza: nel 2019 erano 5.045 i giovani (e meno giovani) che si sono trasferiti all’estero, ora sono 6784, con una crescita del 34,47 per cento in 4 anni. Già il rapporto 2022 della Fondazione Migrantes dimostrava come i connazionali fuori dai confini fossero di numero superiore agli stranieri residenti da noi: quasi 6 milioni contro 5,2.

Il rapporto 2022 della Fondazione “Migrantes” rivela che i connazionali fuori dai confini sono di più rispetto agli stranieri residenti in Italia: quasi 6 milioni contro 5,2 (foto di Anatoly 77)

«La mobilità è qualcosa di positivo – aveva commentato nel novembre scorso la sociologa Licata – perché ci mette in dialogo con altre culture e ci dà opportunità di arricchimento, ma la nostra mobilità è malata, perché dettata solamente dalla necessità ed è unidirezionale». Insomma, partenze di sola andata: fuga senza ritorno, come quella di Roberto, l’ingegnere informatico a 1400 euro al mese. C’è poi un altro cambiamento in atto nel mondo del lavoro di cui tenere conto: la “cosiddetta settimana corta”. Se ne discute da tempo, ma pochi giorni fa sono stati resi noti i risultati di uno studio, il più ampio fra quelli realizzati finora, svolto nell’arco di sei mesi sulla settimana lavorativa di quattro giorni – venerdì a casa – in 61 aziende del Regno Unito e Irlanda per un totale di quasi 3mila dipendenti, con la partecipazione di università come quella di Cambridge e l’University College di Dublino. Ebbene, 56 delle 61 ditte coinvolte nella sperimentazione hanno deciso di proseguire con la settimana corta visto l’aumento del 35 per cento del fatturato e il calo (del 57 per cento!) del numero di dipendenti che hanno deciso di lasciare il posto di lavoro.

Immagine di apertura: foto di Shvets-production

Nato e cresciuto in Sardegna, milanese di adozione, giornalista professionista dal 1973, alla sua carriera manca solo l’esperienza televisiva. Per il resto non si è risparmiato nulla: giornale del pomeriggio (La Notte), quotidiano popolare (l’Occhio), mensile di salute (Salve), settimanale familiare (Oggi), una radio privata per divertimento (Ambrosiana) e quindi 20 anni di “Corriere della Sera”, dove si è occupato di attualità nazionale e internazionale. Ha avuto anche un’esperienza di (mini) direttore per quasi due anni al Corriere, quando gli è stata affidata la responsabilità di “Corriere anteprima”, freepress pomeridiana. Laureato all’università Cattolica a Milano in Lettere Classiche, ma con una tesi sul cinema, ha provato a scrivere un libro (guida turistica) e non c’è riuscito.

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