Milano 27 Febbraio 2024
Il cinquantadue per cento (più di uno su due) degli adolescenti che vive una relazione di coppia dichiara di aver subito comportamenti violenti o lesivi.
Tra i tanti: l’essere chiamati con insistenza al telefono per far saper all’altro dove ci si trova (34 per cento), essere vittima di un linguaggio violento con grida e insulti (29 per cento) o di schiaffi, pugni, spinte, lancio di oggetti (19 per cento), ricevere con insistenza la richiesta di foto intime (20 per cento), sembrano essere diventati ormai atteggiamenti comuni e acquisiti di cui è inutile chiedere conto o lamentarsi. Save the children ha lanciato questa indagine inedita sulla violenza di genere in adolescenza realizzata in collaborazione con Ipsos, leader mondiale nelle ricerche di mercato, e la campagna social #chiamalaviolenza.
I dati emersi dal sondaggio sono stati pubblicati nel rapporto: Le ragazze stanno bene? “Indagine sulla violenza di genere in adolescenza”, in collaborazione con il Dipartimento giustizia minorile e di comunità e con il supporto delle Unità di servizio sociale e gli Istituti penali per minori. Il 30 per cento degli intervistati inoltre sostiene che la gelosia sia un indispensabile corollario dell’amore; che condividere con il partner le password dei dispositivi e dei social rappresenti una inconfutabile “prova d’amore”, mentre il 17 per cento dei ragazzi e delle ragazze tra i 14 e i 18 anni è convinto che uno schiaffo ogni tanto faccia bene alla loro relazione intima.
Ma quale può essere la o le ragioni di tanta sofferenza e soprattutto: cosa significa essere adolescenti oggi? Si ipotizza spesso che i giovani soffrano per mancanza di cultura, che per loro il futuro non sia più una promessa, che manchi la risposta ai tanti perché: …devo studiare…devo lavorare…devo vivere.
Lo abbiamo chiesto a Roberto Goisis, noto psichiatra e psicoanalista, che nel volume Costruire l’adolescenza (Mimesis editore), e nel recentissimo Noi imperfetti, pubblicato con Damiani, ha parlato diffusamente di adolescenza problematica, del rapporto tra genitori e figli e dell’autorevolezza, ormai, forse, irrimediabilmente perduta.
«Prima di tutto siamo in un momento di post-Covid anche per gli adolescenti – esordisce Goisis – .Qualcuno pensava che i ragazzi si sarebbero dimenticati in fretta del lockdown, ma non è stato così. Speravano che i giovani, pur sotto chiave, non avrebbero avuto nessuna difficoltà a maneggiare le relazioni online, sia nella didattica, sia nelle cure mediche, sia nelle loro amicizie. Che essendo nativi digitali, tutto per loro sarebbe stato facile. Altra profezia drammaticamente errata. La carenza protratta di socialità scolastica, potente ammortizzatore delle vicende disturbanti del singolo, ha prodotto invece i suoi effetti negativi soprattutto nei più giovani. Effetti che non potranno essere recuperati».
Si è imparato, spiega lo psicoanalista milanese, che la DAD (Didattica a distanza), pur non creando diseguaglianze, è stata una cartina di tornasole delle differenze tra le persone. Le ha fatte emergere. Inoltre si è riscoperto che la creatività ci consente di superare le difficoltà e imparare dalle stesse, trovando modalità e risorse nella tecnologia e in nuovi strumenti. Per quanto riguarda i nuovi device, infatti, i dispositivi elettronici come iPad e via elencando, se da un lato vengono considerati cattivi maestri e creatori di disagi (gli autoscatti con il cellulare messi impunemente in rete possono avvilire per i commenti di ritorno, e provocare tanta psicopatologia) d’altro canto hanno dato l’avvio alla chirurgia robotizzata in cui eccellono i giovani chirurghi, che hanno imparato a gestirla perfettamente smanettando da ragazzi con i joystick (leve di comando) dei loro videogiochi. Ma certamente a scuola i cellulari sono un elemento di disturbo: a questo proposito, il Governo Britannico pochi giorni fa ha pubblicato linee guida per i presidi che ne vietano l’uso a scuola al di sotto dei sedici anni, anche durante l’intervallo e i pasti. Le scuole possono scegliere fra diverse opzioni: il divieto assoluto di portare il cellulare a scuola, la consegna all’ingresso, chiuderlo negli armadietti, o tenerlo nello zainetto rigorosamente spento. Vediamo se l’Italia farà qualcosa di simile…..
«Del resto – prosegue Goisis – ogni fase storica e culturale possiede modi differenti per rispondere al disagio, per esempio l’utilizzo di comportamenti violenti che sempre si associano al tentativo di attaccare e distruggere il luogo dove si è costretti a vivere tutto il giorno. In questo caso gli edifici scolastici. Ma anche con la risposta dell’isolamento che trova il suo estremo nei ragazzi Hikikomori (letteralmente, “stare in disparte “), i giovani giapponesi che scelgono il totale allontanamento dalla società, sfociando spesso nel suicidio».
La spinta rivoluzionaria, confusa, esagerata vitale e necessaria che accompagna la crescita del cucciolo umano, biologica o psicologica che sia, è fisiologica, cioè perfettamente naturale. Esiste in tutto il mondo, in ogni cultura e società.
«Quando parlo con i genitori dei ragazzi – aggiunge il clinico e formatore milanese – se mi dicono che non riescono a capire il figlio, consiglio di ricordarsi come erano loro da giovani. E a proposito di autorità e autorevolezza, aggiungo che un buon genitore dovrebbe essere in grado di tollerare il conflitto con i figli. Un adulto dovrebbe anche dare il messaggio che l’autorevolezza va protetta, per evitare casi come quello di pochi giorni fa, in cui un allievo ha accoltellato la professoressa».
Nel mese di marzo dell’anno scorso i rappresentanti degli studenti del liceo classico Berchet di Milano, dopo il cinquantaseiesimo abbandono dell’istituto da parte di un allievo, hanno scritto una lettera che ha avuto grande risonanza mediatica e l’adesione di moltissime altre scuole superiori italiane. Che cosa hanno chiesto? «In sostanza hanno chiesto di studiare meglio, non meno – risponde Goisis – . Vorrebbero spazi per la discussione su questioni locali e globali ma soprattutto che si accetti e si riconosca la loro fragilità».
Immagine di apertura: foto di ottawagraphics