Monza, 21 Dicembre 2023
Oggi viviamo la “medicina dei numeri”, dei costi e dei risparmi, degli impact factor, delle “prestazioni” e dei “pazienti-clienti” ma per prendersi cura dei malati è innanzitutto necessaria una squadra forte e coesa.
Mi sento fortunato di aver vissuto in un periodo ed in un luogo dove la medicina era più vicina all’umano in tutti i sensi. Recentemente sono stato all’Ospedale Niguarda di Milano, luogo che, nel mio cuore, resta sempre il “mio paesello”: il De Gasperis, Dipartimento di cardiologia e cardiochirurgia dove ho passato dal 1976 gran parte della mia vita professionale. Vorrei condividere una riflessione importante perché quanto sento mancare nella medicina di oggi è il concetto di scuola e di squadra.
Al Niguarda mi sono commosso nel vedere infermieri e medici venirmi incontro con affetto, per nulla scontato dopo tanti anni, così come ci si ritrova con i compagni di scuola ad una cena per festeggiare il Natale. Insieme ci siamo presi cura dei nostri pazienti, insieme abbiamo affrontato tante sfide, insieme abbiamo sofferto, vinto ed alcune volte perso. L’affetto che ho sentito è testimonianza della “scuola”, dallo spirito di appartenenza che rende un luogo di cura affidabile, sicuro e forte. Non siamo calciatori, battitori liberi che rincorrono chi li paga di più. Lo spirito di appartenenza al De Gasperis, come scuola di medicina, è forte ed è un esempio di come deve essere inteso il “prendersi cura” del paziente e il lavoro di squadra per avere risultati eccellenti. Non solo: è il modo per trasmettere una cultura ed è questa a tenere insieme i professionisti della Sanità.
Mi ricordo Suor Laura, caposala del reparto femminile e Suor Tommasina, infermiera di sala operatoria negli anni Settanta. Ai tempi di Angelo De Gasperis, verso il finire degli anni Cinquanta, erano le suore a preparare i pazienti mettendoli nelle vasche con il ghiaccio per abbassare la loro temperatura a circa 25/19 gradi per i primi interventi a cuore aperto senza e con la macchina cuore polmone in ipotermia moderata e profonda. Poi sono arrivati i sindacati ed hanno licenziato le suore per far posto a chi non c’era.
La cardiochirurgia ma anche le chirurgie in genere, hanno bisogno di professionalità multidisciplinari. I trapianti, ad esempio, hanno bisogno di moltissime competenze e sono un esempio di multidisciplinarietà che va ben oltre il dipartimento come struttura organizzativa: dalla delicata decisione di allocazione dell’organo, all’équipe che si occupa dell’espianto, al trasporto in elicottero, alla gestione del cuore e delle macchine in sala operatoria, alla squadra che si occuperà del trapianto, alla terapia intensiva pre e post operatoria, al reparto, fino ad arrivare alla gestione del paziente dopo la dimissione, per anni. Un numero considerevole di persone e competenze coinvolte che non si improvvisano. Se la formazione e la pratica di questi professionisti non passano più per una scuola e la sua cultura, i risultati non ci possono essere. Inoltre, la squadra è l’unica che può portare avanti compiti complessi, non il singolo chirurgo ed è il gruppo a fare il bene del paziente.
Certo che una scuola ha bisogno di maestri, altra fondamentale mancanza dei nostri giorni.
La squadra ha bisogno di intelligenza non artificiale. Per fare gruppo bisogna pensare insieme, non avere chi si mette in cattedra, fa il saccente in TV e poi viene preso con le mani tra i concorsi truccati.
Il De Gasperis è anche un esempio eccellente per la diffusione di cultura su tutto il territorio nazionale ed anche all’estero. Moltissimi sono gli allievi che nel tempo hanno diffuso conoscenza negli ospedali, dopo aver appreso l’arte da maestri riconosciuti ancora oggi da tutti noi e dalla comunità scientifica internazionale: i cardiochirurghi Angelo De Gasperis e Renato Donatelli, il cardiologo Fausto Rovelli e Alessandro Pellegrini, che è stato il mio maestro. I maestri esistevano perché sapevano; ora non è più così, ora ripetono lezioni.
Il “Corso Rovelli”, convegno annuale del Dipartimento De Gasperis, è un grande esempio di cultura medico-scientifica che da oltre 50 anni a settembre rappresenta un irrinunciabile appuntamento della cardiologia e cardiochirurgia italiana ed internazionale. L’ho capito con il passare del tempo che il corso era capace di fare cultura. Ci ritrovavamo per discutere e crescere, per parlare del nostro lavoro e di come migliorarlo.
La lungimiranza avuta dai maestri del passato nel formare la mia generazione di medici e infermieri, è un esempio che dovrebbe ispirare l’organizzazione di oggi, perché fa notizia che giovani medici specializzandi siano impiegati in ospedale come “tuttofare, svolgendo lavori di segreteria o gestendo l’organizzazione burocratica e facendo i portantini al pomeriggio” (cfr. Il Fatto Quotidiano, 3 dicembre 2023), senza imparare nulla su come prendersi cura dei pazienti in modo appropriato ed umano. Ecco, questo è quanto succede oggi e tutti siamo coinvolti, perché tutti siamo potenzialmente pazienti ed abbiamo bisogno di una Sanità ben allenata, forte e capace di vincere. Gli applausi durante il Covid per gli “eroi del momento” fanno onore a qualcuno? Torniamo a respirare l’aria vitale degli spogliatoi prima della finale del campionato: che i nostri “eroi di tutti i giorni” possano affrontare le sfide carichi di emozione positiva e si permetta loro di lavorare con serietà, grinta e mezzi. Che la coppa Davis, vinta dopo 47 anni sia di buon auspicio.
Immagine di apertura: foto di GDJ
- Ha collaborato Sabrina Sperotto
Grazie per la riflessione che condivido pienamente. Purtroppo lavoro di squadra e capacità di trasmettere cultura medica e “relazionale” sono sempre più rari. I nostri specializzandi hanno bisogno di maestri che trasmettano sapere e empatia.