Milano 27 Gennaio 2024
«Cataclisma emotivo ieri sera e stamattina. La giornata di ieri tuttavia è stata deliziosa. Un sole primaverile, una passeggiata superba nel magnifico paesaggio di Tourony, spinto in sedia a rotelle alternativamente da Gwendal e Margaux…». Inizia così una delle pagine del diario di Philippe Bail, il medico di famiglia bretone che, colpito dalla terribile neuropatia di Charcot-Marie-Tooth, una malattia degenerativa che non lascia scampo, aveva ipotizzato, quasi invocato, per sé l’eutanasia che aveva sempre escluso per i suoi pazienti.
Il suo libro, Fidèle comme une ombre (fedele come un’ombra) per le Edizioni L’Harmattan, ha agitato le coscienze francesi: non è soltanto la testimonianza quotidiana, a tratti sconfortata, di un dolore spesso insopportabile. È anche un appello alla libertà e la prova di come sia difficile articolare una normativa generale su una questione così tragicamente personale.
A 72 anni, «ho cambiato parere: da medico difendevo il principio per il quale ogni vita merita di essere vissuta. Non lo rinnego, ma ho capito altro da quando sono malato» ha spiegato in una recente e toccante intervista a FranceInfo. Il desiderio di vivere si spegne in lui piano piano. Ma può riaccendersi all’improvviso ascoltando la colonna sonora della giovinezza, i cantanti Barbara e Brassens, «guardando un film, bevendo un buon vino – e pazienza se, sacrilegio! , ora è necessaria la cannuccia -, vivo! E non mi sento affatto un vegetale».
Nella sua lunga carriera, racconta, non ha mai abbandonato o trascurato i suoi pazienti terminali: «Restavo al loro fianco fino alla fine e riuscivo ad attenuare le loro sofferenze con le mie visite e con la mia padronanza della morfina e degli analgesici». Ma quando, cinque anni fa, è arrivato per lui il momento di assistere al lento degrado del proprio corpo, progressivamente atrofizzato dalla malattia, e a patire la mortificante perdita di autonomia, ammette di aver pensato, desiderato il suicidio. Non lo ha messo in atto, però ha cominciato a rivedere le sue certezze. A rivendicare il diritto di poter decidere quando far staccare il respiratore meccanico da cui la sua sopravvivenza dipende 24 ore su 24, quando ottenere la sedazione profonda prevista dalla legge, senza dover aspettare la morte per asfissia che ha in serbo per lui Madre Natura. Ed è questa possibilità, questa “uscita di sicurezza”, assicura, ad alleviargli l’angoscia della fine ormai non più lontana. «Siamo pronti a lasciarlo andare» ammette Chantal, medico, sua moglie da quasi cinquant’anni, anche a nome degli altri famigliari.
A non essere pronto, in Francia come in Italia, è il Parlamento. All’Assemblea Nazionale una legge sul fine vita è in preparazione e, seppure tra rinvii e temporeggiamenti, potrebbe essere resa nota nei dettagli in febbraio; mentre proprio martedì scorso, 23 gennaio, i massimi rappresentanti delle comunità religiose del paese, musulmani, cattolici, protestanti, ebrei, buddisti, hanno tenuto una conferenza stampa congiunta per ribadire la loro comune opposizione al suicidio assistito. «Una rara manifestazione di unità» commenta la stampa transalpina.
Se Belgio, Olanda, Svizzera (nel lontano 1941), Canada, Lussemburgo, Austria, Spagna, Germania e alcuni stati americani (l’Oregon, primo nel 1994, poi la California, il Colorado, il New Jersey ed altri) hanno già aperto legalmente al suicidio assistito, in Italia non esiste ancora una legge nazionale in proposito e l’analogo progetto divide trasversalmente il mondo politico. Vige però una sentenza della Corte Costituzionale del 2019 che ha semplicemente depenalizzato il suicidio medicalmente assistito ad alcune condizioni: che chi lo chiede sia pienamente capace di intendere e di volere, che abbia una patologia irreversibile, portatrice di sofferenze intollerabili, e che sopravviva soltanto grazie a trattamenti di sostegno.
È quindi alla possibile incostituzionalità dell’articolo 580 del codice penale (che punisce con pene fino a 12 anni di carcere chi agevola in qualsiasi modo l’esecuzione del suicidio) che si è riferito il giudice preliminare del tribunale di Firenze, Agnese Di Girolamo, nel procedimento a carico del leader radicale Marco Cappato per aver accompagnato in Svizzera nel 2022 un malato di Sclerosi Multipla, deciso a mettere fine ai suoi giorni, chiedendone l’archiviazione. La Corte Costituzionale aveva, allora, sollecitato il legislatore a disciplinare la materia. Ma quasi cinque anni dopo l’unica proposta di legge esistente è ferma in Senato dopo l’approvazione alla Camera nel 2022.
Così, in dieci regioni, sono state intraprese iniziative e raccolte di firme per ottenere a livello locale una normativa che appare ancora abbastanza remota a Roma. In Veneto, apripista con le oltre settemila firme raccolte dall’associazione Luca Coscioni, non è passata per un voto la proposta promossa dal presidente Luca Zaia e intitolata Liberi Subito che avrebbe, tra l’altro, imposto alle Asl venete un tempo massimo di 27 giorni per rispondere alle istanze di malati con patologie irreversibili che chiedessero alla sanità pubblica di accedere al trattamento per la morte volontaria.
Alla votazione si è spaccato il centro destra, Luca Zaia, da una parte, e il leader della Lega Matteo Salvini, con Forza Italia e Fratelli d’Italia, dall’altra. Decisiva al naufragio della proposta l’astensione di Anna Maria Bigon, consigliera del Partito Democratico, dove la mossa ha creato imbarazzo, provocato un richiamo di Elly Schlein alla dissidente e aperto un confronto con l’ala dem cattolica: «Non ci può essere un ordine di partito su certi temi. Guai se il partito calpesta la coscienza profonda» ha ammonito l’ex premier Romano Prodi.
Immagine di apertura: Philippe Bail oggi, in condizioni terminali (foto di Le Télégramme/Chantal Bail)