Milano 28 Ottobre 2022

Basterebbero le tre parole, scandite e gridate nelle piazze, Zan, Zendegi, Azadi (donna, vita, libertà) per dire il livello di maturità della protesta politica delle donne iraniane, che ora sta coinvolgendo gli studenti e ampi strati della popolazione nonostante la brutale repressione. Sulla tomba di Masha Amini, morta a 22 anni a seguito dell’arresto perché non indossava correttamente il velo, si legge la scritta profetica “il tuo nome sarà la chiave”. Così è stato: nel suo nome la protesta contro il velo è divenuta contestazione di massa, di donne e uomini. Lo slogan “donna vita, libertà” ora viene scandito assieme agli slogan che rifiutano lo stato islamico e rivendicano il rispetto dei diritti fondamentali per il cittadino. Numerosi i cortei di studenti e studentesse organizzati a Teheran, Kermanshah, Hamedan, Tabriz, dove i commercianti incrociano le braccia, abbassando le serrande.

Un ritratto di Mahsa Amini in mezzo alle bandiere iraniane durante la manifestazione di solidarietà che si è tenuta il primo ottobre a Berlino.  (fonte: Ansa)

Alcune donne hanno il coraggio di mostrare i capelli per strada, ma vengono duramente picchiate dalla polizia. Nel mondo islamico la donna ha ben pochi diritti, lo sappiamo, ma in Iran la soppressione di qualsiasi loro libertà ha assunto livelli insostenibili dall’avvento di Khomeyni alla guida del Paese nel 1979. L’Iran è governato da una casta religiosa sciita, religione minoritaria nel mondo musulmano, prevalentemente sunnita (80 per cento). Si tratta degli Ayatollah e dei grandi Ayatollah, rispettivamente 85 e 40, che hanno un potere religioso, ma soprattutto politico, tanto da influire su tutti gli aspetti della vita privata e di quella sociale. È questo da sempre il loro ruolo, oppure in Iran è successo qualcosa di nuovo rispetto alla tradizione sciita? Porgiamo la domanda a Paolo Branca, professore di lingua e letteratura araba e di islamistica e storia dei Paese musulmani all’università Cattolica di Milano.

Paolo Branca, uno dei massimi esperti di Islam in Italia. Insegna all’università Cattolica di Milano ed è membro del Comitato per l’islam Italiano (fonte: vitaepensiero.it)

Professore, l’integralismo che vige in Iran dal tempo della cosiddetta “Rivoluzione islamica” sta portando a importanti conflitti sociali. Da dove origina, è frutto della religione sciita o una sua aberrazione?

«Tutto l’islam, sunnita o sciita, resta ancorato ad una visione tradizionale dei valori, non solo religiosi, ma anche a gerarchie antropologiche come quelle tra anziano-giovane, maschio-femmina, gruppo-individuo. Gli sciiti, come i cattolici, hanno tuttavia una sorta di clero – assente tra i sunniti – che media il rapporto fra i credenti e Dio, come per noi Cristo e la Chiesa. Ciò comporta la possibilità di una teocrazia (autorità religiose che assumono il potere) mentre per i sunniti sarebbe più corretto parlare di cesaropapismo (atteggiamento politico che induce il monarca ad avocare a sé la facoltà di legiferare in materia religiosa, ndr) : il potere usa la fede come instrumentum regni. Le chiese orientali, rispetto a quella romana, corrono lo stesso rischio, basti pensare al patriarca russo alleato di Putin contro altri ortodossi ukraini».

In che cosa si distingue la religione sunnita da quella sciita?

«Nel sunnismo esistono 4 scuole giuridiche, unite sui fondamenti ma diverse nelle applicazioni. Nello sciismo ne esiste una sola, ma paradossalmente aperta a interpretazioni “razionaliste” più di quelle sunnite per motivazioni storiche e ideologiche. Khomeyni, pur leader della rivoluzione islamica del ’79, non è mai stato riconosciuto come Imam supremo, non avendone i requisiti dottrinali, ma ha messo a tacere altre autorità religiose più insigni di lui mediante un utilizzo della fede come ideologia e purtroppo le conseguenze sono ormai evidenti anche al popolo iraniano».

Può raccontare brevemente l’origine storica della differenziazione fra sunniti e sciiti?

«Gli sciiti nascono per motivi politici, non religiosi, nel conflitto intraislamico per la successione a Maometto in quanto leader politico della comunità, detto Califfo dai sunniti e Imam dagli sciiti. Il carisma di Alì, considerato dagli sciiti suo erede in quanto cugino e genero del Profeta, ha comportato una concezione anche politico-sacrale del potere che però è stata “quietista” per secoli, in quanto minoranza perseguitata. Con la rivoluzione (concetto occidentale moderno) del ’79 le cose si sono complicate e hanno preso una deriva oltranzista estranea alla genuina inclinazione sciita, assai più aperta e lungimirante di quella sunnita strettamente giuridica, tradendone l’identità e rendendola serva del potere politico fin nelle sue più squallide espressioni».

Una ragazza iraniana con il velo. In Iran l’obbligo per le donne di coprirsi i capelli è diventato un’ossessione per le autorità religiose (foto di Shima Abedinzade)

Ritiene che il regime teocratico che vige in Iran possa accogliere le istanze di cambiamento che vengono dalle proteste, soprattutto delle donne, oppure che per come è costituito non sia passibile di cambiamento?

«La casta religiosa, arrogante e corrotta, sta portando uno dei paesi islamici dotati della miglior società civile possibile, a un disastro che fa comodo a molti: senza i Persiani, dai tempi degli antichi egizi, dei greci e dei romani, fino agli ottomani e oltre nessuna stabilità in Asia centrale è possibile. Purtroppo il prezzo di questa follia lo stiamo pagando tutti e il prossimo futuro non promette nulla di buono, per insipienza e dolo di tutte le parti in causa. Per quanto riguarda le donne e in particolare il velo, esso è detto chador in Iran, burqa in Afghanstan e hijàb altrove. È curioso che i primi due termini non esistano nel Corano e il terzo nel Testo Sacro significa solo “tendina”. Altre parole sono impiegate dal Corano e indicano la copertura “del petto”. Non si capisce quindi questo accanimento a proposito dei capelli. L’unica spiegazione possibile potrebbe essere che in arabo lo stesso termine significa sia capelli che peli, e ipotizzare che la parte da coprire sia – come per gli uomini – il pube, ma con i fanatici c’è poco da discutere. La cosa grave è che si fa della propria interpretazione qualcosa di intangibile. in fondo, una forma di idolatria della legge, al posto della vera Parola divina. Insomma, un tradimento totale della misericordia che, come anche nell’Ebraismo e nel Cristianesimo, dovrebbe prevalere anche sulla presunta giustizia celeste, com’è chiaramente indicato sia nella Bibbia che nel Corano».

Immagine di apertura: la grande Moschea del Venerdì a Isfahan, consacrata nell’XI Secolo, uno dei capolavori dell’architettura religiosa in Iran (foto di Diego Delso)

Toscana, milanese di adozione, laureata in Medicina e specializzata in Geriatria e Gerontologia all'Università di Firenze, città dove ha vissuto a lungo, nel 1985 si è trasferita a Milano dove ha lavorato per oltre vent'anni al "Corriere della Sera" (giornalista professionista dal 1987) occupandosi di argomenti medico-scientifici ma anche di sanità, cultura e costume. Segue da tempo la problematica del traffico d'organi cui ha dedicato due libri, "Traffico d'organi, nuovi cannibali, vecchie miserie" (2012) e "Vite a Perdere" (2018) con Patrizia Borsellino, editi entrambi da FrancoAngeli. Appassionata di Storia dell'Ottocento, ha scritto per Rubbettino "Costantino Nigra, l'agente segreto del Risorgimento" (2017, finalista al Premio Fiuggi Storia). Insieme ad Elio Musco ha pubblicato con Giunti "Restare giovani si può" (2016), tradotto in francese da Marie Claire Editions, "Restez Jeune" (2017). Nel gennaio del 2022, ancora con Rubbettino, ha pubblicato "Cavour prima di Cavour. La giovinezza fra studi, amori e agricoltura".

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