Milano 27 Aprile 2024

A tavola e sotto le lenzuola una cuoca milanese riusciva a piegare l’inflessibile Joseph Johan Franz Karl Radetzky, conte di Radetzfeld, maresciallo austriaco del Lombardo-Veneto negli anni Trenta-Quaranta dell’Ottocento.
Da questa verosimile situazione prende il via il divertente, ironico e anche storico affresco del periodo milanese risorgimentale La cuoca di Radetzky di Stefano Jacini (La nave di Teseo), editore e giornalista, discendente del conte omonimo, politico ed economista del giovane Regno d’Italia.

La copertina del libro di Stefano Jacini “La cuoca di Radetzky”, appena pubblicato dalla Nave di Teseo

La storia, ambientata a Milano, ruota attorno al rapporto di una giovane cuoca di palazzo Arconati con il sessantanovenne e terribile comandante austriaco (1766-1858), reo di tante condanne a morte, qui ridimensionato al ruolo di amante premuroso e padre affettuoso di una famiglia parallela, dal momento che la moglie ufficiale, alcolista e ludopatica, e i cinque figli vivevano a Verona. Voce narrante è il fantasma del conte Prina, già Ministro delle Finanze durante il regno d’Italia dell’epoca napoleonica, ucciso in modo violento da una folla inferocita, guidata dal conte Confalonieri, vent’anni prima.
Questo revenant sceglie con cura gli interlocutori a cui apparire, dispensando consigli e suggerimenti. Fra questi c’è la cuoca Giuditta Meregalli, che all’età di nove anni, trovandosi per caso con la madre in piazza San Fedele, aveva assistito allo scempio del suo corpo, riportandone un trauma. Giuditta finisce al servizio di Josef Radetzky, nel lussuoso appartamento a pian terreno di palazzo Arconati, nel centro di Milano. Il palazzo costruito nel XVIII secolo da Galeazzo Arconati Visconti e poi venduto ai Dalmati, fu affittato al generale tra il 1836 e il 1848 (non a caso fu rinominato Arconati Dalmati Radetzky), ma venne distrutto dai bombardamenti del 1943 nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Qui l’illustre inquilino, abituato da perfetto militare a “non assaporare, ma ad inghiottire il cibo”, viene preso per la gola dai manicaretti milanesi della nuova cuoca, tanto da decidere di colloquiare con lei quotidianamente in biblioteca. Alle descrizioni sulla preparazione di cotolette con l’osso (la tradizionale orecchia di elefante), ossibuchi, tortelli e gremolada sotto l’occhio libidinoso del maresciallo che attraversa il suo prorompente fisico, seguono conversazioni sulle difficoltà in cui versa l’impero Austro-Ungarico, crogiuolo di popoli e culture differenti, ormai insofferenti al potere centrale. «E così discutendo di cucina e Impero, Giuditta rimane incinta…..».

Dettaglio del Palazzo Arconati distrutto dai bombardamenti del 1943 (Claudio Emmer, gelatina bromuro d’argento/carta, raccolte fotografiche del Castello Sforzesco)

Intorno alla vicenda privata ruota la storia di Milano, animata da fermenti rivoluzionari, che prepara l’insurrezione contro l’Austria. Si cospira nei salotti politici e letterari dei nobili intellettuali come quello della contessa Maffei, al cui servizio c’è Raffaella, grande amica e informatrice di Giuditta; ma anche nel salon Cardillac, antesignano atelier di moda, gestito da mademoiselle Augustine, che con i modelli degli abiti da lei creati veste bambole svitabili al cui interno c’è una cavità, nascondiglio ideale per documenti segreti. Esiste, infatti una carboneria femminile denominata “club delle giardiniere”, dotata di codici segreti e segni convenzionali. Si trama al caffè Cova e soprattutto al teatro alla Scala, diventato, a detta dello spione Rinose, “focolaio nazionalista”. Qui tutte le opere e i balletti vengono interpretati in chiave pro o anti austriaca. Musicisti come Verdi, Bellini, Rossini compongono melodrammi ritenuti stimoli all’insurrezione; soprattutto il giovane Verdi con Attila, Ernani e Nabucco aiuta in modo convinto e consistente la causa indipendentista. Il supporto ai patrioti arriva anche dagli scrittori come Giuseppe Giusti e Alessandro Manzoni, che con il suo romanzo I Promessi Sposi vuol dare il via ad una lingua nazionale e condannare i soprusi e le prepotenze di un dominio straniero.

Carlo Stragliati, “Episodio delle cinque giornate di Milano in piazza Sant’Alessandro”, fine XIX secolo, olio su tela, Milano, Museo del Risorgimento

Milano è anche crocevia di musicisti e scrittori europei come Franz Liszt, che in casa Maffei suona una riduzione per pianoforte dell’ouverture di Guglielmo Tell di Rossini per compiacere gli ospiti in odore di cospirazione, pur sapendo che l’opera è invisa alla censura austriaca. Sempre dalla contessa Maffei sarà ospitato Honoré de Balzac, critico nei confronti de I Promessi Sposi di Manzoni, perché troppo debole nella trama. Risiede a Milano anche Carl Thomas Mozart, figlio del grande Wolfgang Amadeus, amareggiato dal fatto che la Scala non mette più in cartellone le opere di suo padre, pur viennese e amante dell’Italia.

E così arriva il ’48, anno delle grandi insurrezioni europee e delle famose “5 Giornate di Milano”; 600 barricate erette come baluardi contro i fucili austriaci, costruite accatastando in fretta gli oggetti più diversi: carri, mobili, botti, raccolti da case e antiquari. Vi partecipano tutti: borghesi, popolani, artigiani, studenti. Radetzky fugge dalla Milano liberata, ma vi rientra dopo la sconfitta inferta ai Piemontesi guidati da Carlo Alberto, il “Re tentenna”, che mai il maresciallo avrebbe pensato gli facesse guerra perché imparentato con gli Asburgo.

Felice Donghi, acquarello sulle cinque giornate di Milano che mostra come vennero realizzate le barricate nel centro della città, 1848

Ma i monarchi alla fine si accordano e la Lombardia rimane austriaca, deludendo le aspettative degli idealisti e degli ingenui patrioti!
Le figure più attraenti risultano nella narrazione quelle dei popolani come Giuditta, il maggiordomo Filippo, perché dotate di buon senso e concretezza. Hanno una loro visione della storia e di Radetzky. Giuditta sostiene che «il patriottismo è fonte di guerra e serve solo ai potenti per convincere i sudditi ad andare a farsi ammazzare»; Filippo ritiene il maresciallo un uomo d’altri tempi, sempre affabile con le persone di servizio…., poco amante delle apparenze. Pensa, inoltre, che i borghesi e i contadini vivano bene a Milano. «sono i nobili a lamentarsi, i loro palazzi non rendono e le idee che circolano in Europa li fanno sperare di pagare meno tasse».

Il maresciallo Radetzky in un ritratto fotografico del 1856 di Ludovico Kaiser, due anni prima della morte

L’ironia si fa più sferzante con alcuni rappresentanti del mondo nobiliare come la principessa di Belgioioso, che è infastidita, dopo aver conosciuto Giuditta, di dover mettere in dubbio le sue certezze sulla mostruosità del generale Radetzky e come la contessa Giulia Samojlova, che piange a dirotto per la morte della sua cagnolina, poi sepolta in giardino al cospetto di tutti gli amici uniti nel dolore. Ricorda tanto La vergine cuccia di Giuseppe Parini!
È un libro ben scritto, che si legge con piacere in cui realtà e finzioni sono ben amalgamate e trattate sempre con un sapiente filo di ironia. È ricco di informazioni sulla storia di Milano e delle sue nobili famiglie, magari non sempre autentiche, ma comunque in grado di incuriosire, appassionare e far riflettere il lettore. Potrebbe costituire un esempio, per alcuni versi, di storia “leggera”, tratta dal quotidiano, dal periferico, sempre ignorato dai manuali tradizionali.

Immagine di apertura: Angelo Inganni, Veduta della Corsia dei Servi, Milano, 1850 circa, olio su tela, collezione privata

Nata a Noci (Bari) sull’altopiano delle Murge, è laureata in Lettere Classiche all’università Cattolica di Milano, città dove ha poi sempre vissuto e insegnato nelle scuole medie e in quelle superiori. Ama viaggiare, cucinare, frequentare i concerti, ma soprattutto leggere. E’ "un'appassionata" di parole scritte, soprattutto sulla carta e non su kindle.

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