San Giorgio di Lomellina (Pavia) 27 Luglio 2022
La Lomellina non è solo una terra di confine tra il Piemonte e la Lombardia. Non è solo quel gioiello che: “… l’ occidente lombardo incastona nell’oriente piemontese…” come l’ha definita lo scrittore Angelo Ricci. “ …una terra d’acqua che definisce i suoi confini con la linea dei fiumi Po, Sesia e Ticino…”. “…nel silenzio interrotto soltanto dallo sciabordio costante di una chiusa che regola il flusso delle acque…” che allagano le risaie.
La Lomellina è una terra di misteri. Terra anticamente abitata dai Liguri, colonizzata dai Romani, che costruirono la strada che collegava Pavia (Ticinum) alle Gallie e crearono un “mansio”, un luogo di sosta, Laumellum, appunto, che poi darà il nome all’intera regione. La Lomellina secondo la tradizione ebbe il privilegio di ospitare l’apostolo Pietro, che partito da Roma vi predicò il Vangelo nel suo viaggio verso la Francia. Seguirono tempi bui, tormentati dalle invasioni barbariche – Ungari, Traci, Vandali, Attila compreso, Visigoti – e dalla guerra fra gli Eruli di Odoacre e gli Ostrogoti di Teodorico. Dopo scorrerie e distruzioni, la stabilità arrivò con la dominazione longobarda, iniziata intorno al 570 (durerà due secoli, ma non porterà prosperità). Di quest’epoca lontana, che tanto influì sulla Lomellina, incontriamo una testimonianza a Lomello, che del Regno longobardo fu un centro importante, una sorta di residenza di villeggiatura, dove, accanto ai muri rossastri dell’imponente basilica di Santa Maria Maggiore del Mille (1025-1040), troneggia il battistero di San Giovanni ad Fontes. È il monumento più prezioso della dominazione longobarda, con un fonte battesimale del VII-VIII secolo, a forma di esagono irregolare con la vasca a immersione per il battesimo di rito ariano (il processo di conversione al cattolicesimo dei Longobardi avvenne intorno alla metà del VII secolo). Al suo interno, nel 1894 furono scoperti un cippo funerario cristiano, che raffigura due colombe che bevono al calice, databile al 544, e una scritta che invita a venerare la Croce. E forse proprio a causa di questa sua particolare caratteristica a quei tempi di importanza capitale, nasce una delle più note leggende popolari del territorio.
Nella sua Historia Longobardorum Paolo di Varnefrido, alias Paolo Diacono, il canonico e storico ufficiale del popolo longobardo, ci riferisce che accanto al battistero si trovava una chiesa che nel 590 ospitò le nozze tra Teodolinda (570 circa-627), regina dei Longobardi e Agilulfo, duca di Torino. La leggenda narra che queste nozze non andassero a genio al demonio proprio perché i Longobardi erano ariani e Teodolinda, profondamente cattolica, li avrebbe convinti a seguirla nel suo credo religioso. Il giorno precedente le nozze il diavolo scatenò un tremendo temporale distruggendo in poche ore la costruzione. La regina piangente supplicò Dio di riavere la chiesa. Egli la esaudì ordinando a Satana di ricostruire la chiesa durante la notte, prima dei rintocchi dell’Ave Maria. Per nascondere la vergogna egli fece calare una nebbia così fitta e fredda da costringere i cortigiani a starsene chiusi nel castello.
Così nessuno poté vedere che il diavolo, raccolti al fondo dell’Inferno i migliori architetti e muratori, era già al lavoro. Tuttavia senza una direttiva unica, ciascuno fece a modo suo ed ecco perché il mattino seguente, quando il corteo regale entrò nella chiesa notò subito che i muri non correvano paralleli, i colonnati erano di forme e dimensioni diverse; così i capitelli e il soffitto tutto irregolare. Ma c’è un problema. La basilica, bellissimo esempio di romanico lombardo, secondo gli storici venne costruita intorno all’anno Mille mentre Teodolinda si sposò circa cinque secoli prima. Dobbiamo dire addio alla leggenda? Senza dubbio la chiesa sorgeva nello stesso posto di oggi e per qualche ragione (terremoto, invasione dei saraceni o dei barbari) venne distrutta, crollò o venne rimaneggiata. Sono stati ritrovati dei reperti che sostengono queste ipotesi. Inoltre nel periodo storico in cui venne costruita l’ultima versione della basilica era d’uso progettarne la pianta a imitazione del corpo di Gesù sulla croce: con il busto piegato e le braccia aperte e non in linea. Così è l’odierna struttura, un po’ ripiegata e con muri non paralleli.
Per la cronaca fino al 1875 nessuno si era reso conto dell’importanza del monumento. Solo nel 1939 il parroco e il Comune decisero di prendere iniziative concrete per il restauro del battistero e della basilica. Grazie all’intervento del vescovo di Vigevano Giovanni Bargiggia e del ministro Giuseppe Bottai nel 1940 iniziarono i lavori di restauro e appena un anno dopo (questo ha persino le caratteristiche del miracolo!), il 6 dicembre 1941, Lomello potrà festeggiare l’inaugurazione dei suoi monumenti tornati all’antico splendore.
Invece la storia della Pieve di Velezzo a pochi chilometri da Lomello, pur possedendo la struttura di una leggenda o di una favola buonista, è la pura verità.
Nel 1966 apparve su Il Giorno un articolo di Mario Soldati, noto scrittore e regista italiano, dal titolo: L’Agogna, un fiume da portare in televisione in cui si parlava della Lomellina romanica e preromanica, dando inizio alla riscoperta della pieve che sarebbe culminata con i restauri degli anni Ottanta che diedero al complesso la fisionomia attuale. Si pensa che il nucleo più antico risalga al X secolo mentre nell’XI fu costruito il battistero di San Giovanni Battista. La chiesa è a pianta rettangolare chiusa da un’abside semicircolare, e la navata è coperta da una volta a botte affrescata. Il battistero ha un corpo centrale preceduto da un vestibolo scandito da lesene. A nord e a sud cotti semicircolari di età romana. (E pensare che lo scrittore era passato casualmente per raggiungere i conti di San Giorgio e discutere l’acquisto di una abitazione in Liguria, come ha poi descritto minuziosamente nei suoi Diari).
Da vedere anche la chiesa e il campanile in puro barocco settecentesco di San Giorgio, paese a pochi chilometri di distanza, che con i suoi 83 metri è il più alto della Lomellina. Ricostruita sulla precedente, di epoca medioevale, la parrocchiale possiede un grande coro ligneo e una immagine quattrocentesca della Madonna.
Nella campagna circostante e nell’intero territorio lomellino alla cui riscoperta del valore turistico e culturale, e alla presa in carico, ha contribuito l’Associazione no profit Tracce di Territorio con sede a San Giorgio di Lomellina, si possono incontrare piccole cappellette di campagna. Queste chiesette al valore religioso univano la possibilità di proteggere i tanti lavoranti dei campi dalle ingiurie atmosferiche improvvise, ospitandoli sotto il porticato anteriore in attesa che spiovesse. Come una chiesetta antica, probabilmente seicentesca, in mezzo ai campi, dedicata a san Paolo che fu salvata dalla demolizione dagli abitanti di San Giorgio nel 1847.
Immagine di apertura: il fonte battesimale ad immersione secondo il rito Ariano, del VII-VIII secolo, del Battistero di San Giovanni ad Fontes a Lomello, testimonianza straordinaria dei riti religiosi dei Longobardi (foto di Alessandro Vecchi)
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