Milano 27 Ottobre 2023
Frutto del genio surreale e onirico di Tomaso Buzzi, la singolare opera della Scarzuola, situata nella frazione Montegiove del comune di Montegabbione, in provincia di Terni, nasce dal visionario progetto di recupero dell’antico convento francescano fondato da San Francesco d’Assisi nel 1218 e acquistato dall’architetto milanese nel 1956.
Il nome “Scarzuola” sarebbe dovuto alla scarza (paglia), materiale con cui lo stesso Santo, durante le sue peregrinazioni, avrebbe costruito una capanna proprio nel punto in cui, piantati un alloro e una rosa, sarebbe sgorgata una fonte che ancora oggi irriga il terreno del complesso, lo stesso punto in cui, verso la fine del XIII secolo, Nerio di Bulgaruccio dei Conti di Montegiove fece costruire una piccola chiesa con convento.
Il luogo di culto, dedicato alla Santissima Annunziata e costituito in origine da una semplice aula rettangolare coperta da una volta a botte leggermente acuta, è stato profondamente modificato nei secoli, ma ospita ancora nell’abside una delle prime raffigurazioni di San Francesco in levitazione, ancora fuori dai canoni dell’iconografia ufficiale. Il complesso conventuale fu successivamente abbandonato dai frati durante il Settecento e nelle sue rovine Tomaso Buzzi vide il terreno ideale su cui dar forma alla sua infinita fantasia creativa.
Nato a Sondrio nel 1900, Buzzi, personaggio di grande cultura umanistica e letteraria, si distinse tra i principali designer del Novecento italiano, fu architetto di giardini, restauratore e inventore, oltre che arredatore di importanti palazzi nobiliari. Fu professore per la cattedra di Disegno dal vero e arredamento al Politecnico di Milano – che divideva con Giò Ponti – e fu protagonista dei principali movimenti architettonici e artistici del suo tempo. Fu sicuramente un personaggio dalle mille sfaccettature, un instancabile disegnatore e progettista, conoscitore e collezionista di opere d’arte, ma anche e soprattutto un attento osservatore. Nell’anno di acquisto della proprietà dell’ex convento francescano, Buzzi decise di ritirarsi in quello che diventerà il luogo di proiezione del suo folle genio, una dimensione fuori dal tempo che gli permise di trascorrere l’ultima età della sua vita, spentasi nel 1981, dando forma e materia ai sogni del bambino interiore.
Dopo i primi anni dedicati al restauro del complesso, tra il 1958 e il 1978 diede il via al progetto e all’edificazione della propria Città Ideale al lato del convento francescano.
Da lui stesso definita un’”antologia di pietra”, la Scarzuola può essere considerata a tutti gli effetti un’immensa macchina teatrale: articolata in una serie di recinti che comprendono sette teatri, trova il culmine nell’Acropoli – un’altura artificiale di edifici costruiti per archetipi. Le architetture che compongono l’Acropoli sono vuoti, meri involucri finestrati il cui unico scopo è fornire molteplici prospettive sul paesaggio artificiale.
In questa città dei sogni risuonano gli echi compositivi di Villa Adriana e Villa d’Este a Tivoli e del Vittoriale di D’Annunzio; di Partenone, Colosseo, Pantheon, Piramide, Torre dei Venti, Tempio di Vesta e Torre dell’orologio di Mantova negli edifici dell’Acropoli. Evidenti sono i riferimenti stilistici del Neo Manierismo, che si ritrovano nello spropositato uso (o abuso) di scale rivolte in qualsiasi direzione, nella sproporzione tra le parti; tornano alla mente le follie mostruose del Giardino di Bomarzo e le prospettive distorte dei dipinti di De Chirico. Le costruzioni anacronistiche e le false rovine sono legittimate dalla loro funzione teatrale, in cui si scorgono riferimenti ai modelli rinascimentali delle scenografie di Palladio, Scamozzi e Serlio.
L’osservatore che si ritrova ad attraversare tale sequenza di spazi, ha la sensazione di trovarsi all’interno di un labirinto fatto di percorsi geometrici e edifici affastellati a monumenti che, a ogni incrocio e ogni svolta, propone scorci evocativi e quasi magici. Si dice che Tomaso Buzzi si sia spento lasciando l’opera incompiuta, ma la Scarzuola non è nata per essere terminata, perché l’autore di questo capolavoro architettonico desiderava realizzare un luogo i cui sogni non avessero fine. Anche i nomi dei diversi padiglioni sembrano essere usciti dai libi di favole, dai racconti mitologici o dalle scritture sacre – dall’anfiteatro che regala l’ostrica e la perla, alla polena della Grande Madre, passando per la bocca di Giona, risalendo le Dodici fatiche di Ercole, arrivando alla porta dell’amore che tutto vince, fino al cipresso fulminato da Giove e alla piramide di cristallo custodita dalla torre di Babele.
Dopo la scomparsa dell’architetto ideatore della Scarzuola, questo incredibile complesso non poteva essere ereditato che dal nipote Marco Scolari, anfitrione, costruttore e anima del complesso. Nato a Genova nel ’49, e dopo aver svolto lavori tra i più disparati, all’inizio degli anni Ottanta approda alla Scarzuola alla quale, per quaranta anni, dedicherà tutto se stesso dando vita ai progetti dello zio e donando al tufo che compone le architetture la spiritualità che ne anima gli spazi. In questa grande opera globale dal fortissimo valore simbolico, sempre aperta e mai finita, gli elementi della storia si sovrappongono a quelli del presente e del futuro e ciò che ne risulta è una costruzione surreale che racchiude la tradizione del sacro, che si ritrova nella vecchia fabbrica del convento e l’innovazione del profano, rappresentata dalle strutture dei teatri.
Ispirata all’ideale umanistico della composizione armonica di natura e cultura, la cosiddetta Città Buzziana si propone come metafora della vita di ciascuno e offre spazio al raccoglimento, al silenzio, alla contemplazione in solitudine, alla memoria e alla fantasia, perché ognuno, attraversandone gli spazi, vi trovi echi del proprio passato e note dell’avvenire. L’opera di Buzzi è la summa delle fantasie dell’architetto e la rappresentazione del mondo in cui ha vissuto e lavorato, una sequenza di citazioni di grandi riferimenti architettonici, artistici e letterari.
Immagine di apertura: fonte: umbriaturismo.it