Milano 27 Ottobre 2023

Jon Fosse (1959, Haugesund, Norvegia) è un autore poliedrico che spazia tra romanzi, racconti, poesie, saggi, letteratura per bambini e drammi. Le sue opere sono tradotte in oltre cinquanta lingue, ed è anche riconosciuto come abile traduttore. Il cinque ottobre 2023, l’Accademia svedese gli ha assegnato il Premio Nobel per la letteratura in virtù della sua vasta produzione letteraria e, in particolare, “per le sue opere teatrali e di prosa innovative che danno voce all’indicibile”. Fosse comincia a scrivere a soli dodici anni, e debutta con il suo primo romanzo, Raudt, svart [Rosso, nero], nel 1983, seguito due anni dopo da Stengd gitar [Chitarra chiusa].

Un’immagine suggestiva della cittadina di Haugesund in Norvegia nella regione dei fiordi, sul Mare del Nord. Qui è nato Jon Fosse

È con questo romanzo che lo stile inconfondibile che renderà celebre l’autore norvegese comincia a prendere forma: il linguaggio si fa più associativo, e emerge un realismo-psicologico che diventa il motore della narrazione. Tra le opere successive, sono degni di nota i romanzi Melancholia I e II (1995, 1996) e Morgon og kveld (2001) [Mattina e sera], dove l’attenzione dell’autore si sposta su questioni esistenziali come la vita e la morte. Il più recente – e imponente – lavoro di Jon Fosse è Septologien (2019-2021) [Settologia] di cui due volumi sono già stati pubblicati in traduzione italiana da La nave di Teseo (L’altro nome e Io è un altro).

In questo romanzo, che lo scrittore definisce di “langsam prosa”, ossia prosa lenta, ci troviamo di fronte a una lunga e potente preghiera. Seguiamo le vicende di un vecchio pittore, Asle, che ha da poco perso la moglie. Dopo un periodo di isolamento a seguito del lutto, Asle, che vive in una piccola cittadina sulla costa occidentale della Norvegia, conosce un suo omonimo, anche lui artista, consumato dall’alcol e dalla malattia. I due Asle non sono nient’altro che due versioni della stessa esistenza, e il loro incontro genera una serie di riflessioni e domande sull’arte, la vita e l’identità.

La copertina del libro “Mattina e Sera” di Jon Fosse, pubblicato in Italia dalla Nave di Teseo

Ma è grazie al teatro che Jon Fosse raggiunge il successo globale di cui gode oggi, rendendolo di fatto uno tra i drammaturghi più rappresentati sulle scene dei teatri europei. La sua produzione teatrale presenta una chiara matrice assurdista, in cui risuonano vigorosi gli echi di autori come Samuel Beckett e Harold Pinter, sia per quanto riguarda lo stile di scrittura, sia per ciò che concerne le tematiche trattate. Nel teatro di Jon Fosse è possibile ravvisare una chiara evoluzione: mentre i primi drammi presentano caratteristiche piuttosto tradizionali (con una certa unità di azione, spazio e tempo), a partire dagli anni Novanta si apprezza una spinta sperimentale che si riflette su tutti gli aspetti che costituiscono il testo teatrale e la sua rappresentazione, fino ad arrivare alla scrittura dei cosiddetti “drammi onirici”, tipici della produzione degli ultimi vent’anni.
Le sue pièce teatrali sono caratterizzate da un forte simbolismo, che si fa ancor più evidente all’interno dell’impianto stilistico minimalista adoperato dall’autore, che influisce sulla lingua, sui personaggi, sulle ambientazioni, operando per sottrazione. Innanzitutto, la lingua di Fosse è scarna, con battute brevi e semplici, in cui l’uso magistrale delle pause e delle ripetizioni dona ritmicità e musicalità al testo (elementi molto cari all’autore, da sempre appassionato di musica), e al contempo decostruisce la parola, ne sgretola funzione e significato. È così che i dialoghi tra i (pochi) personaggi che popolano i drammi fossiani si fanno portatori di significati più profondi: la vita, la morte, l’amore, la solitudine, la fede sono i temi principali che caratterizzano opere come Nokon kjem til å komme (1996) [Qualcuno arriverà] e Eg er vinden (2007) [Io sono il vento], dove l’azione è pressoché inesistente, ma sono i dialoghi a portare avanti l’intero impianto narrativo.

La residenza onoraria di Grotten ai margini del parco del Castello Reale nel centro di Oslo. Il Re l’ha destinata a Jon Fosse per i suoi meriti letterari (foto di Hans A. Rosbach)

Il minimalismo di Fosse è evidente anche nella costruzione dei personaggi e nelle ambientazioni. Solitamente pochi, non più di due o tre, i protagonisti delle opere dell’autore norvegese sono spogliati completamente della loro identità, privati del nome e di qualsiasi altra caratteristica che possa aiutarci a identificarli in quanto individui, li conosciamo soltanto come lui e lei, oppure l’uno/a e l’altro/a. Sono collocati in ambientazioni astratte e indefinite, in cui gli elementi di spazio e tempo vengono decostruiti, annichiliti, moltiplicati. Immaginati. Gli unici due personaggi di Io sono il vento si trovano su una barca che naviga in mezzo al mare. Si può ipotizzare che questa simboleggi una condizione esistenziale che si muove sul sottile filo che divide la vita dalla morte, quindi un’ambientazione metafisica, introspettiva. Il dramma si apre con un’indicazione di scena che avverte che la barca è immaginata, pensata, e anche le azioni non devono essere eseguite, ma devono soltanto dare l’illusione della realtà. Durante il dramma, i due personaggi discutono la scelta di continuare a vivere oppure di porre fine alla propria vita, finché uno dei due (o forse una delle voci, o identità, dello stesso personaggio) si annega. Il minimalismo imperante della poetica fossiana facilita la drammatizzazione di questioni esistenziali e profonde. Con i loro dialoghi – che spesso assumono la forma di monologhi corali – i personaggi che popolano il mondo drammaturgico dello scrittore discutono concetti profondi come la vita e la morte, la solitudine, la natura dei rapporti umani, l’amore, la fede. Le ambientazioni indefinite, la temporalità non più lineare e i personaggi archetipici richiedono e chi legge o guarda i drammi di Jon Fosse di immedesimarsi nella vicenda, di andare a riempire i vuoti che lo scrittore colloca abilmente nelle sue opere, di porsi domande fondamentali sull’esistenza e sul rapporto con ciò che si cela appena oltre il mondo fisico e reale.

Immagine di apertura: Jon Fosse

Nato a Tivoli (Roma) nel 1989, è assegnista di ricerca presso l’Istituto Italiano di Studi Germanici a Roma, e dal 2021 insegna lingue e letterature scandinave all’università di Milano. Ha inoltre insegnato presso l’università Sapienza di Roma, l’università di Bergen in Norvegia e l’università di Reading in Inghilterra. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso le Università di Reading e Bristol in Gran Bretagna con un progetto sul lavoro di mediazione culturale di Fernanda Pivano. Si occupa principalmente di letterature contemporanee e comparate, traduzione e storia dell'editoria, e traduce letteratura dalle lingue scandinave e dall'inglese in italiano per case editrici come Sellerio, Carbonio e SEM. Dirige la rivista multilingue di scrittura creativa, traduzione e arti visive LONGITŪDINĒS.

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