Milano 27 Luglio 2023

Se siete tra gli ammiratori/ammiratrici di Omar Sy e non vedete l’ora che arrivi il 5 ottobre per trangugiarvi la terza stagione di Lupin su Netflix, nel frattempo non perdetevi Io sono tuo padre, film di Mathieu Vadepied, dal 24 agosto nei cinema distribuito da Altre Storie con Minerva Pictures. È l’occasione per scoprire un capitolo imbarazzante della recente storia francese, e insieme un Omar Sy del tutto inedito, lontano anni luce dai ruoli comici e brillanti a cui ci aveva abituato, da Quasi amici a X Men e Jurassic World.

Omar Sy (Bakary) in una scena del film. L’attore francese è di origini senegalesi e mauritane

Stavolta infatti Sy, nato in Francia da immigrati senegalesi, quarto di otto figli, madre cameriera, padre operaio, accantona la verve ironica che gli ha dato tanto successo, e affronta con sorprendente versatilità e bravura un ruolo drammatico in una storia che molto ha a che fare con le sue origini.
Perché Tirailleurs, questo il titolo originale del film, molto applaudito allo scorso festival di Cannes, riapre una pagina dolorosa, tagliata fuori dai libri di storia: quella dei giovani fucilieri del nord Africa coloniale francese, arruolati spesso a forza e spediti sul fronte della Prima Guerra Mondiale. «A combattere e morire per una patria mai vista, di cui spesso non conoscevano neanche la lingua» ricorda Omar Sy, che dedica il film a quei soldati sacrificati e dimenticati. Tra cui circa 200 mila senegalesi, 30 mila mai più tornati. Forse proprio tra loro, come si ipotizza nel finale, c’è quel Milite Ignoto le cui ossa, raccolte sul campo insanguinato di Verdun, sono sepolte sotto l’Arco di Trionfo. Un eroe senza nome dalla pelle scura, emblema di una Francia che ancora non ha fatto i conti con quella scomoda verità.

Un fotogramma del film

Ma il film è anche altro. È la tragedia di una guerra, di tutte le guerre, vista non dall’alto ma ad altezza d’uomo, svelando in tale modo le sue orribili conseguenze ma anche le complesse reazioni di chi si ritrova da un momento all’altro con un fucile in mano.
Come succede a Bakary e Thierno, padre e figlio finiti non per caso nella stessa trincea. Il primo, interpretato da Sy, abbastanza maturo per non credere né cedere al fascino mortale della guerra, si è arruolato solo per raggiungere il suo ragazzo (l’ottimo Alassane Diong). Un diciassettenne reclutato contro la sua volontà, prima spaesato (non conosce il francese, parla solo il peul, la più diffusa lingua senegalese), poi renitente, infine sedotto dal fascino della divisa. E così, mentre per Thierno la guerra, pur se tra mille contraddizioni, si rivela un’occasione di crescita, di emancipazione dall’autorità paterna, al realista Bakary preme una cosa sola: riportare suo figlio a casa, sano e salvo.
Due punti di vista a confronto e scontro, per mettere a fuoco temi cardine di guerre e pace di ogni tempo: l’ambizione, la rivolta, i rapporti con l’autorità, l’obbedienza cieca, la retorica militare. Ma anche farsi occasione di mostrare la bellezza e la ricchezza di modi di vita, lingue e culture diversi. Che è poi quello che dovremmo imparare ad accettare tutti, in Francia, in Italia, in un mondo dove la mescolanza dei popoli è il presente e ancor più il futuro.

Ancora Omar Sy in una scena del film. L’attore nel 2012 ha vinto il Premio César come migliore attore per “Quasi amici-Intouchables” e nel 2022 è stato candidato come migliore attore in una serie drammatica al Golden Globe per “Lupin”

I fucilieri senegalesi hanno segnato un secolo della storia della Francia ma il loro ruolo cardine non è ancora mai stato davvero riconosciuto. Più coraggioso dei manuali ufficiali, il cinema a volte riesce a svelare omissioni e connivenze, smuovere sensi di colpa. Sedici anni dopo il bellissimo Indigènes del franco algerino Rachid Bouchareb, denuncia della carneficina dei soldati marocchini nella Seconda Guerra Mondiale, questo film diretto da Vadepied con piglio asciutto e toccante come le musiche composte da Alexander Desplat, solleva domande spinose e necessarie su un passato coloniale forse non ancora del tutto passato.
«Ricordare quei militi ignoti frettolosamente sepolti nell’oblio – avverte Sy, artista politicamente impegnato sul fronte dei diritti delle minoranze – è riconoscere loro il posto che meritano nella memoria collettiva e nella storia del nostro Paese. Una lezione per la nostra generazione».

Immagine di apertura: un fotogramma di Io sono tuo padre, regia di Mathieu Vadepied

Nata a Venezia, giornalista professionista di lunga militanza in Cultura e Spettacoli del "Corriere della Sera" con cui tutt'ora collabora. Specialista di musica e di cinema, ha seguito per circa 30 anni i principali festival europei, da Cannes a Venezia a Berlino. Per la casa editrice Guanda ha scritto in coppia con Dario Fo quattro libri, "Il mondo secondo Fo", "Il Paese dei misteri buffi", "Un clown vi seppellirà", "Dario e Dio". E da sola, sempre per Guanda, è autrice de "Nel giardino della musica. Claudio Abbado: la vita, l'arte, l'impegno", "Ho visto un Fo" e del recente (2021) "Complice la notte" dedicato alla grande pianista russa Marija Judina.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui