Pavia 27 Giugno 2024

Mentre gli angloamericani, sbarcati il 6 giugno 1944 in Normandia, erano impantanati nella guerra del bocage, le fitte siepi che offrivano una formidabile difesa ai tedeschi, sul fronte orientale cominciava l’operazione Bagration, la gigantesca offensiva scatenata dall’Armata Rossa contro il gruppo di armate centro della Wehrmacht. I carri armati e i soldati sovietici scattarono all’attacco il 22 giugno 1944, esattamente tre anni dopo l’inizio di Barbarossa, l’invasione nazista dell’Urss. Una data scelta volutamente da Stalin, così come altamente simbolico era il personaggio a cui volle intitolare l’offensiva, Petr Ivanovic Bagration, generale che combatté Napoleone e morì nella battaglia di Borodino del 1812 nel corso dell’avanzata della Grande Armée verso Mosca.

George Dawe,”Ritratto del generale Bagration”, prima del 1825, olio su tela, San Pietroburgo, Museo dell’Hermitage

Il dittatore georgiano, che fin dal 1941 auspicava l’apertura di un secondo fronte che alleggerisse l’usura dell’esercito sovietico costretto a sopportare il peso della possente macchina bellica del Terzo Reich, era stato finalmente accontentato con il D day, lo sbarco delle truppe statunitensi, inglesi e canadesi sulle spiagge della penisola del Cotentin e del Calvados. Lanciando Bagration, Stalin veniva ora in aiuto degli alleati, tenendo sotto pressione i tedeschi e non consentendo loro di spostare uomini e mezzi in Normandia, ma le sue mire erano ben più ambiziose e di portata strategica. L’intento, in sostanza, era quello di impegnare e distruggere il nerbo dello schieramento tedesco a Est, spianando la strada verso la Polonia e il cuore stesso della Germania.
Possiamo dire, da questo punto di vista, che“Bagration fu non meno importante di Overlord, nome in codice dello sbarco in Normandia. L’attacco contro il gruppo di armate centro fu deciso dallo Stavka, il comando supremo sovietico, dopo che venne scartata l’alternativa di un’avanzata verso i Carpazi, vantaggiosa politicamente, per la possibilità che essa offriva di accrescere la pressione su Romania e Bulgaria, alleate della Germania, ma che avrebbe esposto pericolosamente il fianco ad una contromossa tedesca. Analogamente, venne cestinata l’ulteriore ipotesi di proseguire l’avanzata da Leningrado (liberata dopo un assedio durato 872 giorni) verso gli stati baltici e la Prussia orientale, sia per le stesse considerazioni di ordine tattico, sia perché questa opzione non avrebbe minacciato Berlino e il cuore del Terzo Reich.

Soldati russi in azione durante l’operazione Bragation (fonte: topwar.ru)

Bagration ebbe inizio alle 4 del mattino del 22 giugno 1944. Nelle tre notti precedenti, i partigiani russi attivi nelle retrovie del gruppo d’armate centro effettuarono oltre 40mila attentati alle linee ferroviarie destinate ai rifornimenti militari, aggravando la crisi logistica del nemico. L’Armata Rossa godeva di una schiacciante superiorità, schierando 166 divisioni, appoggiate da 2.700 carri armati e 1.300 semoventi d’assalto, cui la Wehrmacht poteva contrapporre, su un fronte lungo quasi 1.300 chilometri, solo 37 divisioni e deboli reparti corazzati.

L’ostinazione di Hitler di voler mantenere ogni metro quadrato di terreno sul fronte orientale, vietando qualsiasi ritirata, non aveva consentito l’attuazione di una tattica di difesa elastica e di ordinati ripiegamenti su linee precostituite che avrebbe garantito un risparmio vitale di uomini e mezzi. Al dunque, i tedeschi si ritrovarono a corto degli uni e degli altri, con organici del tutto insufficienti a contrastare il rullo compressore sovietico. Come se non bastasse, il tiranno nazista aveva esonerato dal servizio due dei suoi più brillanti generali, Eric von Manstein e Ludwig Ewald von Kleist, entrambi maestri della panzerwaffe, l’arma corazzata.

Il feldemaresciallo Walther Model, fedelissimo di Hitler, seduto accanto al guidatore su una Kubelwagen, l’auto militare più utilizzata dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale (fonte: Archivi Federali Tedeschi)

Nelle prime ore del 22 giugno 1944, dopo una breve preparazione d’artiglieria, i reparti esploranti russi scattarono in avanti per saggiare la tenuta delle difese tedesche. L’indomani, mossero all’attacco grosse masse di fanteria, protette dall’alto da fitte formazioni di aerei, aprendo la strada alle formazioni corazzate. «La prima grande unità tedesca a essere sconfitta – ha scritto lo storico militare John Keegan – fu la nona armata, che teneva la parte meridionale dello schieramento tedesco». Poi toccò alla quarta, accerchiata dal primo e terzo fronte bielorusso dell’Armata Rossa (la parola fronte indicava un gruppo d’armate) e annientata nei pressi di Minsk. In una settimana di selvaggi combattimenti, la Wehrmacht perse quasi 200 mila uomini e 900 panzer. Hitler sostituì il comandante del gruppo di armate centro, il feldmaresciallo Ernst Busch, con Walther Model, uno dei suoi fedelissimi, soprannominato “capo dei pompieri” per la sua capacità di domare le situazioni più intricate, ma neppure lui, di fronte a quel disastro, riuscì a fare molto. Model cercò di mettere in salvo la quarta armata, che schiacciata sulla Beresina (il fiume simbolo della tragica ritirata della Grande Armée di Napoleone) era ormai circondata da ogni lato.

Minsk liberata: una colonna di carri armati dell’Armata Rossa entra in piazza Lenin il 3 luglio 1944 (AP Photo)

Ma il tentativo fu inutile. Quarantamila dei suoi 105mila uomini morirono nel tentativo di sfondare la sacca e i superstiti cominciarono ad arrendersi. Minsk, capitale della Bielorussia (o Russia bianca), tornò in mani sovietiche il 3 luglio. Senza concedersi pause, i russi continuarono ad avanzare. Il 10 luglio, raggiunsero Vilnius, capitale della Lituania e misero piede in territorio tedesco. Il 13, si mosse in avanti anche il primo fronte ucraino del maresciallo Konev, con mille carri armati e 3mila pezzi d’artiglieria: il suo obiettivo, Leopoli, capoluogo della Galizia fortemente conteso anche durante la Prima guerra mondiale, cadde un paio di settimane più tardi, malgrado le robuste difese.
La grande vittoria venne celebrata ufficialmente il 17 luglio: quel giorno, nelle strade di Mosca, furono fatti sfilare, tra due ali di folla, 57mila prigionieri tedeschi. Il gruppo di armate centro non esisteva più, a Hitler e al suo regime folle e sanguinario restavano meno di un anno di vita.

Immagine di apertura: Il Museo Nazionale della Storia della Grande Guerra Patriottica a Minsk, in Bielorussa, uno dei più grandi del mondo sulla Seconda Guerra Mondiale (foto di Julian Nyca)

Nato a Broni (Pavia) nel 1962, laureato in Lettere Moderne all’Università di Pavia con una tesi di Storia del Risorgimento, lavora dal maggio 1990 al quotidiano “La Provincia Pavese” (gruppo Gedi). È giornalista professionista dal 1992. Si è occupato di cronaca locale, cultura, spettacoli e sport. Attualmente è vicecaposervizio del settore Sport e tempo libero del giornale. Ha collaborato alle riviste “Storia e dossier”, “Storie di guerre e guerrieri”, “History”, “Storia in rete”. Ha pubblicato “La spia di Stalin. La vera storia di Carlo Codevilla” con Mursia (2015) e “Vincitori e vinti”, insieme al collega Fabrizio Guerrini, con Primiceri (2020)

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