Firenze 21 Febbraio 2020
Una volta, le malattie seguivano gli eserciti, accompagnavano le carovane, viaggiavano a bordo di navi cariche di grano… Per questo, la peste si diffuse con una relativa lentezza, quando, nel 1346, scoppiò verosimilmente il primo focolaio nella lontana Crimea.
Oggi, i virus usano mezzi di trasporto molto più veloci e infrangono confini e barriere con una velocità sorprendente. Il coronavirus, identificato in Cina, che sta oltrepassando i confini posti dalla geografia fisica e politica, diffondendosi con incalzante rapidità, fa riemergere l’antica paura del contagio e riaccende lo spettro delle grandi pandemie che, in momenti diversi della storia dell’uomo, hanno provocato migliaia di vittime, sterminando soprattutto la popolazione delle città. Molto spesso, la causa rimaneva ignota, almeno fino ad anni a noi molto vicini. Si accusavano i comportamenti viziosi e perversi, le infelici congiunture astrali, un cielo nemico.
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Non solo: la responsabilità si plasmava sull’immagine dell’untore, presunto colpevole della diffusione della cosiddetta pestis manufacta, provocata intenzionalmente tramite “ungimenti”, su istigazione del demonio, oppure per assecondare disegni politici, che avrebbero dovuto sconvolgere l’ordine costituito. La vastità stessa del fenomeno-malattia e la sua incontrastata diffusione sembravano la prova di un coinvolgimento divino.
Nell’esercito acheo, davanti alle mura di Troia, la tracotanza di Agamennone determinò una malattia incontrollabile, che solo il suo pentimento avrebbe potuto fermare: la pioggia di frecce scagliata da Apollo è paragonabile solo a quella che, nel 1348, si ritenne una delle possibili cause della peste nera, inviata come punizione da un Dio irato con gli uomini.
Ancor prima che se ne conoscesse il significato, il timore del contagio si disegnava sul concetto di colpa e/o di diversità, scatenando la paura dell’altro, dello straniero, dell’emarginato.
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Racconta Boccaccio nel Decamerone: “… per la forza della pestifera infermità e per l’esser molti infermi mal serviti o abbandonati ne’ lor bisogni per la paura ch’aveono i sani, oltre a centomilia creature umane si crede per certo dentro alle mura della città di Firenze essere stati di vita tolti”.
Paura di essere attaccati dalla malattia, ma anche paura della sepoltura affrettata di chi è ancora in vita, così come accadeva durante le numerose epidemie di colera, quando il seppellimento avveniva con fin troppa sollecitudine.
Quando si annunciava la malattia, anche la paura della paralisi sociale era fortissima: per questo, le Autorità, anche allora, tendevano a rallentare la diffusione della notizia, per non frenare il commercio, l’andirivieni di uomini e cose, che era il motore di un’Europa proiettata verso il cuore del Rinascimento.
Un analogo silenzio mediatico coinvolse i paesi belligeranti durante la prima Guerra Mondiale, quando l’influenza cosiddetta “spagnola”, decimò la popolazione del mondo: solo la Spagna, non coinvolta nel conflitto, ne dette notizia e, anche in questa occasione, fretta e terrore prevalsero sul dolore, annullando la vita consueta. Comparvero le mascherine in tessuto, senza le quali era vietato l’accesso a tram, uffici e altri spazi pubblici. Un semplice starnuto o un colpo di tosse in pubblico erano motivo di terrore.
A distanza di qualche decennio, fu la paura dell’influenza Asiatica, contro la quale un vaccino, formulato in tempi inaspettatamente rapidi, permise di arginare il contagio, e poi fu la volta di un’influenza aviaria, fino alla SARS, “Sindrome acuta respiratoria grave”.
Anche in quel caso, la Cina. In tempi molto recenti, la cosiddetta “influenza suina” ha scatenato un notevole allarme anche in Italia, ma, in quel caso, è stato il “virus della paura” ad essere particolarmente aggressivo…
Esistono, infatti, momenti della storia collettiva, in cui la paura diventa intrusiva, dilagante, acuta e coinvolge le ansie dei singoli e quelle della società, in un’unica psicosi globale, che percorre popoli e Stati, per confondersi, infine, nella mutazione metastatica di un presunto millenarismo.
Immagine di apertura: foto di freakwave