Milano 27 Giugno 2023
«Heathcliff! Heathcliff…!» Un grido nella tempesta, scena clou di un vecchio ma intramontabile film, Cime Tempestose 1939. L’immagine di Merle Oberon che vaga nella brughiera tra lampi e tuoni, invocando il nome dell’amato, alias Laurence Olivier, è di quelle che restano infisse nell’immaginario cinematografico e emotivo al di là del tempo.

Da allora, il celebre romanzo di Emily Brontë ha conosciuto parecchie versioni per grande schermo e pure per piccolo (dallo sceneggiato televisivo anni Sessanta con Anna Maria Ferrero e Massimo Girotti a film più recenti, quello del ’92 con Juliette Binoche e Ralph Fiennes, quello 2011 con Kaya Scodelario e James Howson).
A riprovarci ora, quando forse ben pochi restano i lettori appassionati del mondo romantico e fantastico delle sorelle Brontë, è Frances O’Connor, attrice di vaglio (tra tanti film anche A.I. di Spielberg) che, dando prova di indubbia audacia, con Emily, ha deciso di tentare il gran salto, l’esordio nella regia, con un soggetto inattuale solo in apparenza.
Perché aver scelto Emily, tra Charlotte e Anne, la più misteriosa e geniale delle sorelle Brontë, è già di per sé una presa di posizione originale, foriera di sorprese. In più, l’aver fatto indossare le cupe vesti vittoriane, consone alla figlia di un severo curato, ad un’attrice dal volto inquieto e sfrontatamente sensuale qual è Emma Mackey (già nella serie Sex Education e tra breve in Barbie) lascia intendere che questa nuova Emily è una giovane donna ottocentesca solo per nascita, in realtà proiettata in un futuro ribelle, fatto di ambizioni artistiche, indipendenza erotica.

Pulsioni che spingono la timida Emily Jane, “Emily la strana” come la chiamano in casa e in paese, a rompere con le regole perbeniste e oppressive di famiglia e società, per trovar sponda nella sensibilità estrema dell’unico fratello Brontë, il pittore Branwell, artista sregolato, seduttore e oppiomane, che la adora e la trascina in lunghe passeggiate tra le colline dello Yorkshire da dove poter gridare insieme a squarciagola: libertà di pensiero!

Urgenza indomabile, tanto che Emily, in tempi in cui i tatuaggi non si usavano ancora, quella frase se la scrive a penna sul braccio come memento. Sussurri e grida, violenti e dolorosi, che Emily confida solo alla natura, la quarta sorella, selvatica e solitaria, commovente e prepotente, che tanto le somiglia. E poi, in quel mondo sperduto e desolato, irrompe l’amore, o forse l’invaghimento, per un vicario piacente e piacione, pronto a flirtare con tutte le ragazze della canonica. Love story probabilmente mai accaduta nella realtà. Certo, il reverendo William Weightman esisteva davvero, ma più che oggetto di desiderio per le tre sorelle pare fosse oggetto di sberleffi giocosi, visto il soprannome che le tre sorelle gli avevano affibbiato, Celia Amelia.
Nel film invece il bel William (Oliver Jackson-Cohen) con qualche sguardo infuocato e qualche sermone azzeccato, prende possesso di anima e corpo di Emily, pronta a allentare per lui i ganci del corsetto, a rompere le gabbie della morale comune, e farsi travolgere da una passione senza limiti che sfida ogni legge, di Dio e degli uomini.
Storia d’amore inventata, utile per mettere Emily di fronte alle ambiguità ipocrite del patriarcato, ma soprattutto per trovare i tratti oscuri, insieme con i furori del fratello Branwell, su cui modellare il personaggio chiave di Cime Tempestose, il romanzo scritto di getto e dato alle stampe sotto lo pseudonimo di Ellis Bell. L’affascinante e demoniaco Heathcliff, antieroe senza riscatto, nero e vendicativo, di cui Catherine si invaghisce perdutamente.

Fino a preferire la dannazione con lui che la salvezza con un altro. Non c’è da stupirsi che, una volta pubblicato, nel 1847, poco dopo Jane Eyre, della sorella Charlotte, una simile storia, tra le più sconvolgenti mai scritte, abbia suscitato scandalo e riprovazione.
«Uno strano libro, violento, confuso, improbabile», scrisse il critico dell’Examiner. Strano come la strana Emily, che morirà l’anno dopo, 1848, portata via dalla tisi a 30 anni. Ci vorrà un’altra donna, un’altra scrittrice e poetessa nata mezzo secolo dopo, Virginia Woolf, per cogliere la profonda originalità e audacia del capolavoro di Emily Brontë. «Cime Tempestose – scriverà – è più difficile da capire di Jane Eyre. Perché Emily era più poeta di Charlotte. E perché possiede uno dei più rari talenti: liberare la vita dalla dipendenza dai fatti, rivelando con pochi tocchi lo spirito di un volto. Quando parla della brughiera, sentiamo il fruscio del vento e il rombo del tuono».
Immagine di apertura: Emma Mackey nei panni di Emily Brontë nel film Emily