Milano 21 dicembre 2021

La prima scena e l’ultima sono da annotare nel libro d’oro del Cinema. Naturalmente non siamo così perfidi da raccontarvele, ma fidatevi. Un piccolo cenno? Il finale è l’incontro ravvicinato con un mito guercio del cinema, l’inizio è un treno che piomba addosso a tutta velocità ad un’auto incastrata nei binari. Scontro inevitabile. Il bambino, che guarda impietrito dalla platea, sbarra gli occhi azzurri, sobbalza, stringe i braccioli della poltrona. Quell’immagine non lo lascerà più. Tornato a casa, sogna solo di ritrovare l’emozione di quella scena, di rifarla mille volte con il suo trenino giocattolo, riprendendo l’impatto fatale con la piccola cinepresa regalo di papà.

da sinistra, Burt Fabelman (Paul Dano), il piccolo Sammy  (Mateo Zoryan Francis-DeFord) e Mitzi Fabelman, la mamma (Michelle Williams) in una scena di  “The Fabelmans”

E da grande la rifarà ancora. Il treno, motore primo del cinema, che inizia la sua gloriosa carriera nel 1896 a Parigi proprio con la locomotiva sbuffante dei fratelli Lumière, resterà la grande metafora dello schermo delle meraviglie di Steven Spielberg. Che oggi, a 76 anni compiuti il 18 dicembre, e vissuta ogni possibile avventura, sgominato nazisti, pirati e dinosauri, ritrovato l’Arca, il Graal, il Teschio di cristallo, aiutato piccoli alieni a ritrovare la vita di casa, salvato il soldato Ryan e tutti quelli che si battono per una giusta causa, decide di raccontarci l’unica storia che non aveva mai raccontato, la madre di tutte le altre: com’è nato il suo incantamento per il cinema. Quel colpo di fulmine scoccato a 6 anni assistendo alla scena “primaria” de Il più grande spettacolo del mondo di Cecil De Mille.
Un imprinting legato a un treno che avanza inesorabile (diceva Truffaut, l’amico francese di Spielberg, «I film sono come treni nella notte») che è il punto di partenza di The Fabelmans, dal 22 dicembre nelle sale con già cinque nominations ai Golden Globe in tasca. Vero regalo di Natale per chi ama il cinema, i suoi sogni, i suoi incubi, le sue menzogne, le sue verità. Fabelmans come il nome della famiglia che adombra quella del regista, che trova il suo alter ego Sam nei tratti sensibili di Gabriel LaBelle. E poi il padre ingegnere (Paul Dano dagli occhi troppo miti per vedere quel che accade attorno a lui), la madre pianista (Michelle Williams) votata all’infelicità per aver dovuto metter da parte l’arte per essere moglie e madre, lo “zio” Bennie (Seth Rogen) amico fin troppo di famiglia, lo zio Boris (il meraviglioso Judd Hirsch) artista fallito ma non vinto, che intravede il talento del nipote e lo incoraggia a andare avanti anche se, avvisa, “famiglia e arte ti spezzeranno in due”.

Gabriel LaBelle che intrepreta Sam con Steven Spielberg sul set di “The Fabelmans”

Ma Fabelmans vuol dire anche l’uomo delle favole, il narratore meraviglioso che di favole in mezzo secolo di carriera ce ne ha raccontate davvero tante. Senza mai deluderci. E adesso per la prima volta, vincendo la naturale ritrosia, ci svela con tenerezza e ironia la sua parte più privata, il percorso di formazione da bambino a giovane uomo, senza censure, senza scansare le pagine più intime e dolorose. Il bullismo che ha dovuto subire al college dove i compagni lo chiamavano “sporco ebreo”, il rapporto con la prima ragazza, la procace Monica (Chloe East), fanatica del sesso e di Gesù, il cui padre regalerà a Steve la tanto agognata cinepresa professionale.
Con cui girerà i primi veri film, strumento di cinema ma anche di memoria e di autoanalisi. Il suo sguardo spietato, che mai mente, mette a fuoco la vita, svelandone le pieghe più nascoste. Quelle che l’occhio umano non riesce o non vuol proprio vedere. Come quel retroscena sconvolgente che causò il divorzio dei suoi genitori. «È stata una terapia da 40 milioni di dollari» ha commentato scherzosamente Spielberg, che questa sceneggiatura così personale ha scritto di suo pugno insieme con Tony Kusher.

Monica Sherwood (Chloe East) e Sammy (Gabriel LaBelle) in una scena del film

Ma è prima di far comparire la parola fine che Steve ci assesta il colpo di scena degno di Indiana Jones. Svelandoci l’incontro chiave della sua vita di cineasta, lui ancora giovanotto senz’arte né parte a tu per tu, anche se per pochi minuti, con il regista “più grande di tutti”. Chi sia, lo scoprirete vedendo il film. Per chi non lo individuasse subito sotto il berretto, la benda sull’occhio e il sigaro in bocca, diremo che a interpretarlo è un altro mito del cinema, coetaneo di Spielberg, il regista David Lynch.

Immagine di apertura: Gabriel LaBelle (Sammy), l’alter ego del regista, in The Fabelmans

Nata a Venezia, giornalista professionista di lunga militanza in Cultura e Spettacoli del "Corriere della Sera" con cui tutt'ora collabora. Specialista di musica e di cinema, ha seguito per circa 30 anni i principali festival europei, da Cannes a Venezia a Berlino. Per la casa editrice Guanda ha scritto in coppia con Dario Fo quattro libri, "Il mondo secondo Fo", "Il Paese dei misteri buffi", "Un clown vi seppellirà", "Dario e Dio". E da sola, sempre per Guanda, è autrice de "Nel giardino della musica. Claudio Abbado: la vita, l'arte, l'impegno", "Ho visto un Fo" e del recente (2021) "Complice la notte" dedicato alla grande pianista russa Marija Judina.

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