Milano 28 Maggio 2022

Lo scorso secolo una cantante ha simboleggiato, nel campo della musica lirica, il mito di una voce unica e della lotta contro la segregazione razziale. Si chiamava Marian Anderson ed era nata a Filadelfia il 27 febbraio 1897; suo nonno era stato uno schiavo, testimone dell’emancipazione dei neri dopo la Guerra di Secessione.

La piccola Marian al centro con la madre e le sorelle Ethel (a sinistra) e Alyse (a destra) divenute entrambe cantanti liriche

Marian cominciò a cantare a sei anni nel coro di una chiesa battista e in seguito, dopo aver terminato gli studi superiori, le venne negata l’ammissione all’Accademia di Musica di Filadelfia per il colore della sua pelle. Il direttore della sua scuola superiore si offrì di aiutarla e in questo modo la Anderson riuscì proseguire gli studi privatamente con Giuseppe Boghetti, grazie anche al sostegno di tutta la comunità nera di Filadelfia. Giuseppe Boghetti  – ma il vero nome era  Joe Bogash – nato a Filadelfia un anno prima di Marian, era figlio di ricchi russi ebrei e aveva avuto la possibilità di studiare al Conservatorio di Milano. Con lo pseudonimo italiano, che aveva assonanza con un grande tenore dell’epoca, Giuseppe Borgatti, tentò la carriera operistica in Europa con scarsi risultati. Per Marian fu una fortuna trovare un maestro, didatta eccellente, conoscitore della scuola italiana di bel canto, migliore di quella americana. Nel 1925 la Anderson fece il suo debutto con l’Orchestra Filarmonica di New York e tre anni dopo esordì alla prestigiosa Carnegie Hall. Seguirono numerose esibizioni in Europa. Durante una di queste, la cantante ebbe modo di farsi ascoltare da Arturo Toscanini che la definì «una voce di quelle che nascono una volta in ogni secolo». Durante un giro di concerti in Finlandia Marian incontrò Jean Sibelius, che rimase anche lui profondamente colpito dalla sua voce e scrisse per lei una serie di Lieder.

La First lady Eleanor Roosevelt con Marian Anderson a Richmond, in Virginia, nel luglio del 1939 (AP Photo)

Nel 1939 la Anderson doveva esibirsi a Washington. Nella capitale, era ancora in vigore la segregazione razziale nei luoghi pubblici e nei teatri. Per questo motivo il circolo “Figlie della Rivoluzione americana” rifiutò di concedere per la serata Il salone della Costituzione, in quanto riservato ai bianchi. Indignata Eleanor, la moglie del Presidente Franklin Roosevelt, rassegnò le dimissioni dall’associazione insieme a centinaia di altri soci. Con la collaborazione dello stesso Presidente degli Stati Uniti, l’impresario dell’artista convinse il Segretario agli Interni Harold Ickes a concedere l’uso dello spiazzo davanti al Lincoln Memorial.
La domenica di Pasqua del 1939 Marian Anderson, accompagnata dal pianista finlandese Kosti Vehanen (suo accompagnatore abituale), tenne il suo concerto davanti a un pubblico di 75.000 spettatori; almeno tre milioni di americani ascoltarono l’evento per radio. Come rivincita, nel 1943 la cantante venne finalmente invitata a esibirsi sul palco del Salone della Costituzione, per un concerto a favore della Croce Rossa americana, organizzato proprio dall’associazione che l’aveva rifiutata quattro anni prima.

La cantante con il marito nella loro fattoria nel Connecticut in una foto del 1954 (fonte: University of Pennsylvania Libraries)

Nello stesso anno la Anderson sposò un uomo che conosceva da quando erano ragazzini, l’architetto Orpheus H. Fisher (1900—1986) che aveva già un figlio, nato dal primo matrimonio. La coppia acquistò una grande fattoria a Danbury, nel Connecticut, nonostante che la transazione della proprietà fosse stata ostacolata dal venditore quando scoprì che la coppia era afroamericana. Negli anni Fisher costruì molte parti annesse alla proprietà che divenne nota come Marianna Farm, tra cui una sala prove per la moglie. La fattoria rimase la casa della coppia per più di cinquant’anni.
La Anderson proseguì poi la sua trionfale carriera di concertista fino ad abbattere un’altra barriera razziale. Il 7 gennaio 1955 divenne la prima cantante afroamericana della storia ad esibirsi al Metropolitan di New York, nel ruolo di Ulrica nel Ballo in Maschera, sotto la direzione di Dimitri Mitropoulos. Negli anni successivi la cantante viaggiò in tutto il mondo come “ambasciatrice” del governo degli Stati Uniti e fu nominata dal presidente Eisenhower delegato ufficiale alle Nazioni Unite nel Comitato per i diritti umani.

Marian alla Casa Bianca con John Fitzgerald Kennedy nel 1962

Il 20 gennaio 1961 la Anderson fu invitata a cantare alla cerimonia d’insediamento del presidente John Fitzgerald Kennedy e nell’agosto del 1963 si esibì al Lincoln Memorial durante la marcia di Washington per i diritti civili prima del celebre discorso tenuto da Martin Luther King. Insignita delle massime onorificenze da parte del governo americano, nonché di numerosi altri riconoscimenti civili e accademici, Marian Anderson morì a Portland l’8 aprile 1993 a novantasei anni. Marianna Farm, la residenza di Danbury, dopo la sua scomparsa, venne trasformata in un museo come accadde anche alla casa natale dell’artista a Filadelfia.
Anderson possedeva una delle più affascinanti voci di contralto. Come testimoniano le numerose incisioni discografiche disponibili, possedeva un timbro di grande fascino, messo in rilievo da una tecnica eccellente.

L’esibizione di Marian a Pasqua del 1939 a Washington seguita da 75mila spettatori (fonte: US Information Agency)

Tra tutte le sue registrazioni, una delle migliori esecuzioni è la Rapsodia per contralto di Johannes Brahms, incisa sotto la direzione di Pierre Monteux. Il tenore italiano Giacomo Lauri Volpi, nel suo libro Voci parallele, la cita come una delle cinque voci originali della storia del canto, dalle caratteristiche talmente inconfondibili da non potersi paragonare a nessun’altra. La sua fu una favola a lieto fine contro il razzismo e nella sua storia giganteggiano le figure di Eleanor Roosvelt e Joe Bagash. Quest’ultimo, oggi ingiustamente dimenticato, fu l’ambasciatore del bel canto italiano in America come la maestra novarese Gina Ciaparelli.

Immagine di apertura: una bella immagine di Marian Anderson negli anni della maturità (fonte: GBOPERA magazine)

Nato a Cosenza nel 1957, milanese di adozione, laureato in Giurisprudenza, giornalista pubblicista, da diversi anni archivista e bibliotecario al “Corriere della Sera". In precedenza ha lavorato all’ufficio legale delle case editrici Fabbri, Bompiani e Sonzogno. Direttore artistico del caffé Letterario "Portnoy" di Milano dal 1991 al 1995, ha pubblicato le raccolte di poesia "Noi e i ragazzi del Portnoy" (Eliodor 2007) e "Pandosia" (Manni 2009), in prosa "Cantiere Expo"( 2015) e "La leggenda del santo correttore" (2019) entrambi per Bibliotheca Albatros. Melomane e amante della musica classica grazie al nonno materno, pianista dilettante, ama l’arte e viaggiare.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.