Milano 23 Settembre 2020
La domanda se la sono posta in molti negli ultimi mesi, ma le risposte sono state o troppo vaghe o troppo tecniche. Perché da quando è scoppiata la pandemia da Coronavirus le Borse, dopo un crollo violento ma di durata relativamente breve, hanno poi imboccato la strada del rialzo? Le ricadute economiche del Covid 19 sono apparse subito pesanti. Ma lo saranno ancora di più nell’immediato futuro, con la perdita di posti di lavoro e molte aziende a rischio fallimento. Eppure i mercati, stando all’andamento degli ultimi mesi, festeggiano. Per quale ragione? La prima risposta è anche quella più scontata: da sempre le Borse scommettono sul futuro. Così, quando c’è una crisi in atto, puntano sul fatto che prima o poi ci sarà una reazione, cioè una ripresa delle quotazioni. Il che sarà anche vero, a parte il fatto che nessuno ha la sfera di cristallo per stabilire come e quando arriverà l’inversione di tendenza. Non solo: per quanto le economie mondiali siano oggi certamente interconnesse, ci sarà chi si riprende prima e chi dopo. Intanto, però, in piena crisi dell’economia reale i grandi investitori continuano a puntare sull’azionario.

In secondo luogo, spesso ci si dimentica che i mercati azionari dipendono in gran parte da meccanismi automatici, i famosi algoritmi che governano acquisti e vendite. Ebbene, a muovere queste “mani invisibili” è stata anche l’abbondante liquidità messa a disposizione di governi e aziende dalle banche centrali per far fronte all’emergenza sanitaria. Non essendo conveniente acquistare bond e obbligazioni, i cui rendimenti sono scesi vicino allo zero, fondi d’investimento, fondi pensione e tutti gli altri investitori istituzionali, che hanno un peso preponderante sul mercato, spinti dai loro uffici studi ma anche dai programmi informatici, si sono rivolti alle azioni. Che sono certamente più rischiose, a fronte però di una maggiore potenzialità di rivalutazione.
A questo punto è il caso di introdurre una terza considerazione. A mantenere la tendenza positiva sono gli indici, non le singole azioni. E gli indici rappresentano una media. Nel caso dell’italiano Ftse-Mib, il “paniere” è formato da 40 titoli su 375 società quotate. Questo significa che l’indice monitora le prime 40 aziende italiane in termini di capitalizzazione, dimensioni e diffusione delle azioni. Poi c’è il Ftse-All Share, che comprende tutte le società quotate. Ma anche in questo caso si tratta di un numero ristretto di società, che per il solo fatto di essere quotate sono in genere quelle con più “fieno in cascina”, capaci quindi di sopportare meglio gli effetti delle crisi economiche. Tutte le altre – migliaia se non milioni, se si comprendono le micro-imprese – non sono quotate. Si tratta di quelle mediamente più fragili e quindi potenzialmente esposte al rischio di fallimento.
Sono queste, dunque, le ragioni delle difformità che si manifestano tra una élite di aziende (quelle quotate, appunto, obiettivamente più solide) e tutte le altre, costrette a sopportare interamente il peso della crisi.
Immagine di apertura: foto di Pexels