Milano 27 Ottobre 2023

Uno chalet isolato tra le nevi delle Alpi francesi, una moglie e un marito ormai estranei, il loro bambino dagli occhi malati, che vedono solo ombre, il cane che lo scorta ovunque, testimone silenzioso di tutto ciò che accade. È su questo sfondo di ghiaccio ostile e solitudine angosciosa che fa pensare a Shining di Kubrick o a La promessa di Sean Penn da Dürrenmatt, che prende il via Anatomia di una caduta, magnifico film di Justine Triet, Palma d’oro super meritata allo scorso festival di Cannes, appena approdato nella nostre sale grazie a Teodora.

Justine Triet, regista e sceneggiatrice francese, 45 anni, fotografata da Yann Rabanier. Con “Anatomia di una caduta”, ha vinto la Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes

Un giallo, un noir, un legal thriller. Soprattutto l’impietosa dissezione di un rapporto di coppia andato a male. Così male che Samuel e Sandra non si sopportano più. Troppe le ombre calate tra di loro: l’incidente che ha reso quasi cieco il figlioletto Daniel, la rivalità letteraria – entrambi sono scrittori – lei di successo, lui no, la rivalità erotica: Sandra è bisex, e il tradimento con una donna è difficile da mandar giù. L’essere separati in casa, lui al piano di sopra, lei a quello di sotto, non basta a smussare tensioni e litigi. Quando una giornalista arriva alla baita per intervistare Sandra, dalle sue stanze Simon alza al massimo il volume del giradischi inondando la casa con un rap così assordante da rendere impossibile qualsiasi conversazione. La reporter se ne va, Sandra si chiude in camera. E il bambino, forse per sfuggire al fracasso e a nuove recriminazioni, prende il cane e va a camminare nel bosco. Quando torna, la tragedia è compiuta: il corpo del padre è sulla neve, sotto di lui una macchia scarlatta che si allarga sempre più. Samuel è morto. Caduto dalla finestra del piano di sopra. Incidente? Suicidio? Omicidio? Ogni ipotesi è lecita. Nessuna abbastanza convincente. Parte l’indagine, Sandra (la prodigiosa Sandra Hüeller) era sola in casa al momento della tragedia, e quindi anche la sola a venir sospettata.

La scena della morte di Samuel. Suicidio? Omicidio?

La polizia esegue i test più accurati sulla traiettoria del corpo che precipita, il rapporto tra parapetto e finestra… La tesi del suicidio si indebolisce, quella dell’omicidio prevale. Più che indizi precisi, a giocare contro Sandra è il suo modo di essere: poco empatica, fredda come il ghiaccio, distaccata anche per via della lingua: di origine tedesca, non padroneggia il francese abbastanza bene per esporre i sottili crinali di un malessere coniugale che, a seconda di come viene espresso, può incriminarla o assolverla. Così durante il processo si esprimerà in inglese, terza lingua estranea per tutti, che necessita della mediazione di un interprete. Tra informazioni controverse e omissioni vischiose, il dibattimento va avanti un anno. Sotto accusa, più che una presunta assassina è una donna, imputata per un modo di vivere difforme dalle regole. Presa dalla sua affermazione professionale, non si occupa di tutto il resto: poco presente in famiglia, l’accudimento del figlio delegato al marito, le scappatelle omosessuali… Un modo d’agire lecito per uomo, intollerabile per una donna, specie se moglie e madre. Il pregiudizio lambisce il giudizio, incrina persino il rapporto con il piccolo Daniel (l’intenso Milo Machato Graner) che di quella mamma così brava nell’anticipare nei suoi romanzi una realtà da incubo, pare non fidarsi più.

Il piccolo Daniel (Milo Machato Graner) quasi cieco in seguito ad un incidente

L’abilità di frugare nelle anime senza mai svelarle del tutto, di ribaltare l’apparenza lasciando ampio margine all’ambiguità, di addentrarsi nei labirinti di una coppia senza gli impacci della morale, fa di Triet una grande narratrice cinematografica. Una sorta di erede di Simenon, non a caso nata a Fécamp, il borgo della Normandia sfondo di molti romanzi e racconti del grande Georges, con cui la regista condivide il gusto di cesellare personaggi memorabili, capaci di continuare a sollecitare i nostri dubbi, le nostre fantasie. La caduta del titolo non è solo quella di Samuel ma di una coppia che, via via, si disgrega, si dissolve in una discesa inarrestabile che mette in discussione le nostre idee su quel che vuol dire stare insieme, sui ruoli e le rivalità. Naturalmente nulla va svelato su come la storia andrà a finire, se Sandra verrà giudicata colpevole o innocente. La frase però da tenere stretta è quella che ci consegna il piccolo Daniel dagli occhi azzurri che non vedono ma colgono più degli altri: «Quando non c’è la verità alla fine bisogna sceglierne una». La donna si troverà al centro dei sospetti per la morte del marito.

Immagine di apertura: una intensa Sandra Hüeller (Sandra) in una scena di Anatomia di una caduta

Nata a Venezia, giornalista professionista di lunga militanza in Cultura e Spettacoli del "Corriere della Sera" con cui tutt'ora collabora. Specialista di musica e di cinema, ha seguito per circa 30 anni i principali festival europei, da Cannes a Venezia a Berlino. Per la casa editrice Guanda ha scritto in coppia con Dario Fo quattro libri, "Il mondo secondo Fo", "Il Paese dei misteri buffi", "Un clown vi seppellirà", "Dario e Dio". E da sola, sempre per Guanda, è autrice de "Nel giardino della musica. Claudio Abbado: la vita, l'arte, l'impegno", "Ho visto un Fo" e del recente (2021) "Complice la notte" dedicato alla grande pianista russa Marija Judina.

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